Friday, October 4, 2024

Business- LA VIGNA DI PIETRATORCIA

26/2009

Photo: Enzo Rando
Text: Silvia Buchner

 

E’ possibile rinnovare il legame che per millenni, da quando i Greci giunsero in quest’isola e la chiamarono Pithecusa, portando con sé anche la pianta della vite, ha unito inscindibilmente Ischia al vino? Sicuramente, oggi ritrovare questo filo rosso ha senso solo se lo si fa in nome dell’eccellenza, combinando tradizioni dei padri con tecnologie contemporanee: così si potrà restituire almeno ad una parte del paesaggio isolano la sua unicità e insieme realizzare un prodotto che possa competere con i vini di alta qualità prodotti altrove. Dal 1993 l’azienda Pietratorcia, fondata a Panza dalle famiglie Iacono, Regine e Verde – che oggi curano rispettivamente la gestione e produzione, il personale in azienda e l’agriturismo – ha scelto questa strada, percorrendola in costante equilibrio fra il passato ed il futuro, con grande coerenza. Dagli espliciti richiami alle radici greche di Ischia – riprendendo nelle eleganti etichette le pitture che decorano i vasi antichi scoperti nell’antica colonia – al nome Pietratorcia, che altro non era che l’attrezzo adoperato per pigiare l’uva prima dell’avvento del torchio, all’impostazione data alle vigne ed alla cantina da Gino Iacono, l’enologo che segue la produzione fin dall’inizio. Anzi si può dire che professionalmente sono nati insieme, perché pochissimo tempo dopo la laurea in Agraria all’università Cattolica di Piacenza, Gino ha accettato di seguire l’azienda, percorrendo da subito una strada nuova per le imprese vinicole ischitane. Pietratorcia è, infatti, quella che possiede le vigne più ampie rispetto al numero di bottiglie realizzate: in tal modo si imposta all’origine la futura produzione, creando dei cru, vale a dire vigne con specifiche caratteristiche di esposizione, da cui provengono uve destinate esclusivamente alla produzione di un certo vino che da quell’appezzamento prende il nome. I vigneti appartengono alle famiglie socie e si estendono nei Comuni di Forio e Serrara Fontana e in località Fango, a questi si affiancano quelli dei circa venti contadini ischitani conferitori dell’uva. Alcuni dei vigneti di Pietratorcia sono frutto del recupero di terreni abbandonati e tutti sono stati reimpiantati con i vitigni ischitani DOC e con quelli campani scelti come miglioratori. I sistemi di coltura adottati si allontanano dalla tradizione locale, privilegiando metodi che consentono di avere uve di alta qualità, contemporaneamente abbattendo i costi il più possibile. Ad esempio, si sono usati pali in legno trattati, che durano anche vent’anni, invece dei tradizionali pali di castagno. La densità di impianto è più alta e si sono adottate forme di allevamento che consentono di accedere con facilità ai grappoli per controllarne la crescita, la salute e infine per raccoglierli, sempre limitando il lavoro necessario.
In 17 anni di attività, l’azienda ha raggiunto il traguardo delle 180.000 bottiglie annue (su un milione circa prodotto nell’intera isola): i vini DOC sono tre cui si aggiungono due riserve e un passito. Ognuno dei vini di punta ha una storia, una ragione di esistere, una personalità, che Gino Iacono ci ha raccontato. Innanzitutto il vigneto in località Chignole, privilegiato dall’ottima esposizione a Ovest, simbolo di Pietratorcia, perché si tratta di un antico appezzamento della famiglia Iacono che occupa le caratteristiche terrazze sostenute dai muri a secco, le parracine, inerpicate sulle ripidissime pendici dell’Epomeo, al di sotto di S. Maria al Monte. Da qui proviene l’omonimo bianco DOC: le uve (Biancolella, Forastera e Fiano) si raccolgono leggermente surmature e si è scelto di utilizzare un’antica procedura che consisteva nel lasciare per diversi mesi il vino, al termine della fermentazione, sigillato nella botte che conteneva ancora le fecce di fermentazione appunto. Questo metodo consente all’alcool di esercitare un’azione dissolvente sugli elementi proteici dei lieviti, tirando fuori le loro caratteristiche. Il vino aumenta di corpo e a livello organolettico se ne ricava un sentore di crosta di pane. In generale, il bouquet aromatico è molto variegato, emergono gli elementi speziati e quelli da frutta fresca a frutta matura. Perfetto abbinato al coniglio all’ischitana. In genere tutti questi vini hanno in comune di essere vini sapidi, a causa dell’influenza che il mare esercita sui vigneti; la maggior parte dei vini di Pietratorcia, inoltre, è prodotta con la macerazione pellicolare che recupera il tradizionale metodo di lavorazione che consisteva nel tenere l’uva pigiata a contatto con il mosto già in fermentazione. Nello specifico, nel Bianco DOC Vigne del Cuotto (Biancolella, Forastera e Greco di Tufo), l’esposizione meno soleggiata consente di preservare maggiormente i profumi: il vino ha note floreali ed un’intensità aromatica importante, che lo rende adatto al pesce ma anche come aperitivo.
Il Cru Ianno Piro è un rosso ben maturo, da uve Guarnaccia e Piedirosso con aggiunta di Aglianico come miglioratore, si effettua la macerazione classica e poi il vino resta in acciaio ma talora può andare anche in botte. Ha grande morbidezza, con note di frutta rossa, ciliegia e amarena, e speziate, ad es. noce moscata, con un buon corpo che consente di accostarlo a carni rosse ma anche a piatti più delicati.
Accanto a questi si producono i vini da invecchiamento, prodotti di nicchia, in 2-3000 bottiglie: sono il territorio in cui l’enologo ha scelto di muoversi in libertà. E con grandi risultati. Lo Scheria bianco (Biancolella e Fiano) macera fino a 4 giorni (per un bianco è un azzardo!), poi va in acciaio, sempre a temperatura controllata. Infatti, l’uso del freddo in ogni fase della lavorazione, per questo come per tutti gli altri vini prodotti, garantisce la conservazione delle caratteristiche aromatiche dell’uva che le variazioni di temperatura, inevitabile nelle cantine di un tempo, mettono in pericolo. Poi il vino va in botte insieme alla feccia e infine è imbottigliato, senza altro trattamento che una filtrazione preimbottigliamento. E’ un prodotto per intenditori, di grande struttura – un ‘bianco-rosso’, come si dice – con caratteristiche aromatiche evolute, di marmellata, spezie, ma emerge anche la vaniglia del legno. Si associa a piatti saporiti ed ai formaggi, ma è talmente pieno che si può bere anche da solo. Lo Scheria rosso aggiunge ai vitigni nostrani Guarnaccia e Piedirosso (in dialetto chiamato per ‘e palummo), Aglianico e Syrah, adatti all’invecchiamento: va in botte per 2 anni, infine, prima dell’imbottigliamento, si aggiungono, seguendo una ‘ricetta’ antica, due bianchi d’uovo con del sale per eliminare l’eccesso di tannino. Questo vino è nato per dimostrare che anche a Ischia, dove manca una tradizione per i rossi, è possibile produrne uno di grande qualità, e la sfida è stata vinta perché lo Scheria è il più rinomato rosso della provincia di Napoli e tra i primi della Campania. E’ molto morbido, con un bouquet elegante, in cui il sentore di marmellata si mischia alle spezie.
Pietratorcia regala anche la possibilità di un’immersione nel mondo dei sapori e dei luoghi che da secoli sono legati al vino ischitano. Nella sede del Cuotto, fra Forio e Panza, si può visitare un’antica cantina del ‘700, che era fra le più grandi della zona, ristrutturata con un uso fedele della pietra locale, il tufo verde, cui si affianca un delizioso ristorante, dove i vini si possono assaggiare in abbinamento a tipici piatti ischitani come il coniglio da fossa (anch’esso di produzione propria), e a piatti di pesce e di formaggi.

#cantine #ischia #vino

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