Friday, April 19, 2024

n.11/2007

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Photo: Riccardo Sepe Visconti
ArtDirector: Riccardo Sepe Visconti
Model: Sonia Messina
Dress Woman: Liu Jo, Ischia
Shoes: Liu Jo, Ischia
MakeUp: Nancy Tortora
Hair: Ciro Coiffeur, Ischia
Assistant: Roberta Levato
Location: Albergo della Regina Isabella

 

Perché un pezzo sulla disperazione?
Per vari motivi. Il primo di tutti, personale: la disperazione è parte di me (forse di tutti noi, certamente di me). Silvia, che di Ischiacity è il vicedirettore e dunque il mio braccio destro, conoscendomi, probabilmente più di chiunque, dice che la disperazione me la porto cucita addosso come una seconda pelle. Credo abbia ragione.
Il secondo motivo è perché la disperazione è uno stato dell’anima e quindi del corpo (fino a condizionare tutto l’ambiente che lo circonda) fortissimamente espressivo e dunque bello, fascinoso sul piano della rappresentazione.
Il terzo motivo è la sua funzione ‘educativa’, quasi salvifica: la sofferenza è crescita. Leonore Fleischer nel suo “Viaggio in Inghilterra” scrive “Noi siamo come blocchi di pietra dai quali lo scultore ricava le fattezze di uomini. I colpi dello scalpello, che ci feriscono tanto, ci portano alla perfezione”.
La quarta ed ultima motivazione è forse la più banale: la disperazione è un tabù inconscio ma infine anche cosciente: si respinge da noi tutto ciò che ci lega alla sofferenza. Da ciò ne deriva che in fotografia, specie se si tratta di un servizio moda, non si usa fotografare modelle disperate. Farlo è stata una scelta sicuramente originale.
Per costruire la mia ambientazione mi sono avvalso di tre aiuti preziosi: la modella Sonia Messina, lo sponsor la boutique “La Caprese Più”, e l’ospite che ci ha messo a disposizione i locali per l’ambientazione, Giancarlo Carriero.
La scelta della modella è caduta su Sonia (perfetta!) poiché possiede in fotografia la stessa virtù che le sostanze liquide hanno in fisica: prende la forma del contenitore, occupandone con una distribuzione uniforme tutti gli spazi. Se si chiede a Sonia di ridere, piangere, essere maliziosa, sensuale, elegante, sguaiata, docile o sofferente, si può star certi che Sonia lo sarà.
Per realizzare queste scene Sonia ha singhiozzato di un pianto sommesso portando in emersione tutta la tristezza, la rabbia, la paura, l’angoscia che il suo solare carattere normalmente le impedisce di trovare sfogo. Così è accaduto che ad ogni singhiozzo Sonia diventava più bella perché ogni sua lacrima era vera e sofferta.
Quanto alla location, ho scelto la sala ristorante dello Sporting del complesso del Regina Isabella perché è un luogo che tutti sono abituati a vedere con una destinazione diversa: molto difficilmente lo si troverà completamente spoglio, senza tavoli, sedie, tovaglie, stoviglie ecc. Normalmente è un posto affollato e vissuto mentre credo di essere riuscito a trasformarlo in una sorta di loft privo di oggetti: poiché quando si è disperati si tenta di aggrapparsi a qualcosa (o a qualcuno) ma spesso si trovano solo pareti lisce.
Il libro “Gomorra” di Roberto Saviano è stato inserito nel quadro fotografico per stabilire un collegamento ideale con il prossimo racconto fotografico che Ischiacity realizzerà nel numero 12 – questa volta sul tema della camorra -. Devo poi ringraziare la famiglia Federico, proprietaria delle boutiques “La Caprese Più” che mi dà sempre una gran fiducia, permettendomi la più ampia libertà nel fotografare i capi di abbigliamento e quindi lasciandomi infrangere il tabù della disperazione attraverso un servizio moda.
Infine le frasi, scelte per accompagnare le immagini, sono tratte dal medesimo romanzo, “Braci” di Sandor Marai. I brani sono cavati dal lungo discorso fra due vecchi che dopo moltissimi anni si ritrovano inevitabilmente di fronte, nel tentativo (vano, forse) di chiarire colpe e tradimenti che l’uno ha inflitto all’altro (complice la donna di quest’ultimo). Gli elementi della disperazione ci sono tutti: tradimento, colpa, amore, onore, amicizia, complotto, viltà, silenzio e attesa (senza attesa quale disperazione sarebbe tale?). Il romanzo s’intitola “Braci” poiché la disperazione cova nel tempo esattamente come le braci sepolte sotto la cenere: non vedendo più le fiamme diresti che il fuoco si è spento ed invece è lì, pronto a destarsi al primo soffio di vento.

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