Saturday, April 20, 2024

GIANNI SASSO ISCHITANO NO LIMITS ALLE PARALIMPIADI

C’è un uomo che non conosce i limiti. Perché non li vede. E ne avrebbe, eccome, da quando – appena sedicenne, era il 31 marzo 1986 (certe date non si dimenticano) – perse una gamba nel corso di un incidente, sul lungomare di Casamicciola: viaggiava in vespa, la vide volare via. Nulla sarebbe stato più come prima, o forse sì. Perché Gianni Sasso non l’ha supe- ra – to, quell’handicap: ha semplicemente vissuto come se non esistesse. E oggi che è arrivato a Rio de Janeiro, primo ischitano nella storia della Paralimpiadi: la retorica imporrebbe di parlare di eroismo e passione, coraggio e determinazione. Impossible, dicono, is nothing. «Il punto è che i limiti esistono soltanto nella tua mente », spiega. Tutt’intorno, la frescura di Livigno e un calendario che, tiranno, gli impone il tour de force. Partirà per il Brasile, questione di giorni. Ma questa è una storia fuori dal tempo, perché in fondo la sua medaglia Gianni Sasso da Ischia l’ha già ampiamente conquistata. Dal podismo al calcio, colonna della Nazionale italiana per amputati, fino al Paratriathlon, la disciplina che lo consegna alla storia: «Ciclismo, corsa e nuoto: è nato tutto tre anni fa. Quando, in fondo, era già tardi per puntare alle Olimpiadi. E invece ci ho provato, come sempre. Avevo un obiettivo, non mi sono risparmiato. E’ andata bene, ma mica è solo merito mio! In tanti mi sono stati vicini, a cominciare da Michele Scotto D’Abusco. Perché io non sono un individualista: io rappresento l’isola, voglio esserne un ambasciatore». E’ una bella storia, questa, anche perché se c’è un volto che – come intuito dal Comune di Serrara Fontana – può davvero rappresentare Ischia, incarnando il meglio del caparbio carattere isolano è senza dubbio quello di questo volitivo atleta a trecentosessanta gradi, una storia di sport e di vita. Ché lo sport, alle volte, è davvero una metafora della vita. «Noi ischitani abbiamo un legame viscerale con l’isola – spiega Gianni – e siamo portatori sani di un orgoglio per la terra natìa superiore a quello di chi nasce e vive altrove. Per noi tornare sull’isola è un bisogno quasi fisico. L’ho sperimentato sulla mia pelle, nei lunghi periodi in giro per l’Italia e per il mondo. E’ per questo che a Rio de Janeiro, e sempre, vorrò mettere in chiaro le mie origini. Ischitano, e fiero di esserlo». Un sogno chiamato Paralimpiadi non nasce per caso. Coronarlo è questione di nervi, fisico, passione. «Ho avuto la certezza di farcela dopo il terzo posto in Giappone e il sesto all’Europeo, la vera prova del nove. A soli tre minuti dalla medaglia. Lì, ci sono i migliori del mondo. Ecco, a Lisbona mi sono guardato allo specchio e mi sono detto: ‘Vuoi vedere che vai a Rio, Gianni?’. Il resto è storia recente». Già, storia recente. L’atleta più anziano in una disciplina motoria: perché Gianni non è mai uno banale. Stupisce, come sempre. Da quando correva per le strade dell’isola d’Ischia o meravigliava tutti sui campi di calcio: lui e quell’inseparabile stampella, estensione del suo corpo. Un limite, per gli altri. Una risorsa, per lui. E oggi che ha una protesi alla Pistorius per correre come il più veloce del mondo, anche in Brasile; oggi che il suo nome conquista i titoli dei giornali nazionali; oggi che le Paralimpiadi nobilitano un progetto sportivo già ampiamente realizzato, Gianni è lo stesso di sempre. Occhi spiritati e filo di barba. Uno che non si ferma mai. E non si fermerà neanche dopo questa straordinaria pagina, ancora tutta da scrivere: «Vorrei diventare un punto di riferimento per i disabili che vogliano fare sport. Aiutarli a superare le barriere mentali. Spronarli a considerare realizzabile ogni obiettivo». Il suo, Gianni l’ha raggiunto anche grazie al cuore pulsante della gente e ad un progetto di crowfunding avviato, con i Gianni Sasso Supporters e attraverso il portale Eppela, nella lunga vigilia delle Paralimpiadi (l’appuntamento è dal 7 al 18 settembre, quando si affronteranno nelle 23 discipline paralimpiche 4.300 atleti provenienti da 176 paesi del mondo). Attività commerciali e amici lo hanno sostenuto con piccole donazioni. Un modo per esserci e per sopperire alle storture e ai paradossi di un sistema che non sostiene gli atleti paralimpici. Sport minori, vecchie storie: impera il dio calcio, gli altri si salvi chi può. Così, per acquistare il materiale per il nuoto (muta, cuffia, occhiali), per la bici (la bicicletta, il casco, le scarpe) e per la frazione di corsa (scarpe), Gianni ha chiesto e trovato l’aiuto del suo popolo. Orgoglioso. «Se mi guardo indietro, mi rendo conto di quel che ho fatto. E mi considero già con la mia brava medaglia al collo. – rivela – Poi però mi dico: “Devo metterci tutto me stesso, come sempre”. E sono certo che lo farò. Parto dal decimo posto, ma venderò cara la pelle». Riannodare il filo dei ricordi vuol dire anche tornare a quell’indelebile data, 8 luglio, quando arriva una di quelle telefonate che ti cambiano la vita. «Gianni, ci sei. Andiamo a Rio». La voce, rotta dall’emozione, è quella di Simone Biava, direttore tecnico della Fitri. Usa il “noi”. Questa è una storia in cui ognuno tende la mano al prossimo. Gianni l’afferra e sale, metaforicamente, su un aereo che lo condurrà in Brasile. Il primo da avvisare è papà Ciro, a Ischia: «Sentire la sua voce emozionata mi ha ripagato di mille sacrifici. A lui e a mamma Angelina le prime dediche ». Genitori veri, orgogliosi di un figlio che ha superato l’incidente con la forza di volontà dei predestinati. Un esempio globale. Il Paratriathlon, per Gianni, è stato l’ultimo tassello di un gigantesco mosaico: Sasso – lo ricorderanno i suoi seguaci della prima ora – aveva iniziato con le Maratone. New York nel 2008 (record del mondo nella sua categoria), Berlino nel 2010, Amsterdam nel 2012 (4 ore, 28 minuti, 38 secondi: mai nessuno meglio, con le stampelle). Poi, la passione di sempre: il calcio. Sin da quando giocava col Forio: un predestinato, sostiene chi ne mastica. Si è dovuto accontentare, si fa per dire, di rappresentare l’Italia alla prima partecipazione ad un Mondiale per amputati, in Messico, nel 2014. Frammenti di storia. Poi, nel 2016, l’illuminazione: il Paratriathlon. I media nazionali iniziano a raccontare la storia di questo caparbio ragazzone che non si ferma mai. Lui sorride sempre, alle volte sembra persino un po’ spaccone: «Io un eroe? Non direi, a me manca soltanto una gamba. Ho relativizzato il mio problema: è poca roba, di fronte a disabilità ancor più gravi. E dico sempre una cosa: non credo che gli handicap ci impediscano di raggiungere mete ed obiettivi. Piuttosto, ci costringono a cercare strade alternative». Strade alternative, l’importante è percorrerle. Con determinazione.