Friday, March 29, 2024

History- VITTORIA E MICHELANGELO IN LOVE

30/2011

Text: Giovanni Di Meglio

 

Ad Ischia, dove Vittoria Colonna abitò per quasi trent’anni, il legame tra la Poetessa e il Maestro viene vissuto ancora oggi in maniera molto forte, fino a concretizzarsi in immagini poetiche poco documentabili dal punto di vista storico, ma affascinanti sotto il profilo turistico, mi riferisco alla leggenda che vuole Michelangelo e Vittoria amanti sull’isola. Tra le tradizioni liriche che maggiormente hanno fanno presa sull’animo del turista, di certo è da mettere al primo posto quella che ha per ‘ambientazione’ il magico specchio d’acqua di Cartaroma, compreso tra il Castello Aragonese, dove la Poetessa aveva la residenza, e la ‘Torre di Michelangelo’, dove – secondo alcuni scrittori di ‘cose ischitane’ – il Maestro fiorentino avrebbe preso dimora per stare accanto alla sua ‘amata’ Colonna. Su questo filone, la fantasia popolare si è spinta oltre, arrivando a parlare di un tunnel sottomarino, attraverso il quale Michelangelo avrebbe potuto raggiungere agevolmente Vittoria, non visto da sguardi indiscreti, dalla Torre all’interno del Maniero. E non pochi nel passato, nel dare corpo ai sentimenti popolari, hanno cercato di riscoprire il ‘tunnel dell’amore’, di una passione riservata e sconvolgente, di un legame che arrivava a coinvolgere nel più profondo dell’animo i due massimi Geni del Rinascimento italiano. Al di là della verificabilità storica del mito legato al territorio, resta il fatto che la coscienza collettiva della comunità isolana non ha mai messo in dubbio l’esistenza di un ‘vincolo’ che tenesse legati – tramite la eccezionale e familiare presenza della Castellana Vittoria – il Maestro e l’isola ‘che a Tifeo si stende’. Anche se la fama di entrambi e la reciproca stima avevano preceduto la loro personale conoscenza, molto probabilmente Vittoria Colonna incontrò per la prima volta Michelangelo intorno al 1535 a Roma: subito nacque tra le due anime elette un rapporto intenso, fondato sulla comunanza di medesimi interessi culturali (il destino dell’Uomo nella Storia) e spirituali (la riforma della Chiesa Cattolica), ma alimentato giorno per giorno da un sentimento nobile e sincero, che il Condivi, discepolo dell’Artista e suo primo biografo, non esitò a classificare come “amore” , chiaramente inteso in senso platonico. Sebbene Michelangelo fosse di gran lunga più anziano, provò sempre rispetto e infinita devozione per Vittoria, della quale si dichiarò figlio e discepolo e che elevò a sua musa ispiratrice, accettando – lui spirito ribelle per natura e per convinzione artistica – che ella potesse esercitare un’influenza indiscutibile anche sulla sua opera. Non deve sorprendere, quindi, che la Castellana d’Ischia sia stata l’ispiratrice della “Samaritana al pozzo”, del “Cristo deposto dalla Croce”, del “Cristo in Croce” e che figuri tra i personaggi del grandioso “Giudizio Universale”. Pare addirittura che il Maestro si rivolgesse spesso a lei per chiedere consigli morali e teologici sulla composizione dell’incomparabile affresco della Cappella Sistina. Anche per questo, il critico d’arte Roberto Longhi sostenne che Michelangelo avesse inteso ringraziare la sua personale musa, dando alla Madonna che siede alla destra del Cristo Giudicante, le sembianze della vedova di Ferrante d’Avalos! Sia che s’incontrassero per le conversazioni quasi giornaliere nel giardino della chiesa di San Silvestro al Quirinale, presenti a volte altri artisti e uomini di cultura, e sia attraverso la corrispondenza epistolare, essi presero atto della fine delle certezze dettate dal Rinascimento e posero le basi per la edificazione di una controffensiva riformista, che tenesse conto dell’assoluta miseria umana e del mistero della grazia divina, l’unica capace di redimere il mondo intero. In questo comune percepire la crisi di un’epoca, essi si avvicinarono, con la mente e con lo spirito assetati di verità, ma anche con ragionevole prudenza, alle nuove interpretazioni del Vangelo sostenute dal Valdes e dal frate Bernardino Ochino, i quali si erano elevati ad alfieri della necessità della riforma della Chiesa, travagliata da decenni di scandali e di ruberie. Grazie al fatto che venivano riconosciuti personaggi di altissimo livello e incontrastati protagonisti della società contemporanea, Vittoria e Michelangelo, negli anni di assidua e proficua frequentazione, ebbero la forza di imprimere una svolta decisiva al loro modo personale di pensare e di agire, ricercando, lei nella poesia e lui nell’arte figurativa, uno straordinario strumento di sopravvivenza all’angoscia che li divorava in profondità. Il risultato della rivoluzione comportamentale fu eccezionale. Vittoria riuscì ad imprimere alla complessa materia poetica, ancora formalmente ‘petrarchista’, freschezza di ispirazione e scioltezza compositiva, connotandola di valori spirituali e religiosi, quasi del tutto assenti nella prima parte del ’Canzoniere’, fino al punto che la figura del marito, morto in seguito alle ferite riportate nella battaglia di Pavia, definito più volte nei sonetti ‘mio bel Sol’, fu sostituita negli ultimi tempi con un nuovo imperituro Sole, rappresentato dal Cristo Redentore. Michelangelo, a sua volta, abbandonò la casacca, fin troppo stretta anche se ben remunerata, di servitore delle ambizioni celebrative dei potenti di turno, per approdare verso una dimensione nuova dell’esperienza creativa, non più sottoposta al gusto e ai capricci del mecenate, ma rispecchiante l’esigenza di riportare sul prodotto artistico il dramma dell’Umanità combattuta tra il ‘Bene’ e il ‘Male’, in profonda crisi di identità, perché ormai priva di quei riferimenti culturali che erano stati imperanti prima del disastroso ‘Sacco di Roma’. Nonostante Michelangelo avesse indirizzato a Vittoria soltanto quattro o cinque sonetti, in particolare tra il 1542 e il 1547, tuttavia essi sono sufficienti per fornirci l’esatta percezione dell’affettuosa stima che l’Artista nutriva per la vedova di Ferrante. Tale predisposizione d’animo venne chiaramente percepita dal pittore portoghese Francisco de Hollanda, autore di uno straordinario libro intitolato “Colloqui con Michelangelo”, una specie di diario artistico distribuito in quattro giornate, in cui vengono analizzati molti aspetti di quel rapporto improntato a indubbia dolcezza e tensione spirituale. Sempre all’artista portoghese si deve la notizia del sincero rammarico di Michelangelo di essere giunto troppo tardi al capezzale dell’amica, così da non averle potuto baciare la fronte e le guance, oltre che la mano, quando la vide sul letto di morte.