Friday, March 29, 2024

RSV_6308_CM.tifImmagini SHRSV_6416 Cotugno crrtt.jpgImmagini SHRSV_6562.tifImmagini SHRSV_5762 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_5737 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_5751 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_5756 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_6190 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_6152 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_6044 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_5674 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_5706 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_5580 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_5726 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_5714 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_5591 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_5664 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_5630 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_5636 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_5621 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_5609 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_5607 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_5601 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_5926 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_5920 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_5690 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_5477 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_5464 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_5425 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_5450 osp Cotugno-01.jpegCotugnoRSV_5366 osp Cotugno-01.jpegCotugnoSpecial Thanks: Marta Cattaneo, responsabile della comunicazione per l’ospedale Cotugno, che mi ha accompagnato personalmente nelle aree di degenza della struttura

La parola a tre dirigenti dell’ufficio infermieristico del Cotugno, Loredana La Pia, Daniela Catapano e Giuseppe Trocciola, responsabili del processo assistenziale nel dipartimento di malattie infettive ed urgenze infettivologiche del più importante ospedale dedicato alle malattie infettive del Sud Italia, che naturalmente sono stati in prima linea durante l’emergenza infettiva dovuta al Covid-19. Anzi hanno colto le avvisaglie della tempesta che si avvicinava e hanno lavorato intensamente per far sì che tutto il personale avesse a disposizione il necessario per affrontarla. Oggi, in fase 3 dell’epidemia, il Cotugno è una delle strutture scelte dalla regione Campania per accogliere gli eventuali nuovi pazienti covid.

Mi spiega in cosa consiste il vostro lavoro al Cotugno?

Daniela Catapano. Sono responsabile assistenziale nel dipartimento di malattie infettive ed urgenze infettivologiche, cioè devo gestire e sovrintendere tutto il personale del dipartimento di malattie infettive che al Cotugno rappresenta quasi l’intero ospedale, e naturalmente il personale dei reparti covid, devo essere l’occhio vigile sul lavoro di infermieri e coordinatori. Non è un compito facile perché ciascuno di noi ha un suo vissuto lavorativo con pochi protocolli al proprio attivo, quelli che esistono sono abbastanza calati dall’alto e trovano poca adesione nel personale. Condividiamo queste responsabilità con altri colleghi, sia nuovi che già presenti al Cotugno da tempo, e spesso i due gruppi discutono fra loro. E anche per l’emergenza Covid-19 è stato così, tanto più che per le specifiche del nostro ruolo siamo stati subito in prima linea nel contrasto all’epidemia.

Il fatto di essere un ospedale di eccellenza nella cura delle malattie infettive vi ha consentito di capire prima degli altri il pericolo che stava arrivando? E quali iniziative sono partite di conseguenza?

Loredana La Pia. Se ne parlava fra colleghi già da gennaio e da quel momento abbiamo stabilito che dovevamo organizzarci, quindi, sfruttando le ore di straordinario, abbiamo attivato un corso per preparare tutto il personale, anche l’addetto alla morgue e l’autista dell’autoparco sono stati obbligati a seguirlo, in modo che fosse pronto a mettere in atto le pratiche indispensabili in caso di epidemia, dalla vestizione ai percorsi. Il 31 gennaio si è deciso di dare le mascherine alle guardie giurate che stanno all’esterno, in quel momento si stava sconvolgendo la normalità. In realtà la trasformazione dell’ospedale in funzione dell’emergenza sanitaria è stata progressiva e abbiamo dovuto spiegare al personale le dinamiche con cui avrebbero dovuto lavorare. Tutto questo lo abbiamo fatto quando il Covid-19 qui non era ancora arrivato ma, benché fossimo partiti per tempo, a un certo punto ci siamo trovati l’onda d’urto dell’epidemia addosso.

Catapano. Fin dal primo momento ho guardato all’arrivo dell’epidemia come ad un’onda che avremmo dovuto fronteggiare e dovevamo farci trovare pronti, a partire dai dispositivi di protezione individuale fondamentali per proteggere il personale. Nello specifico, avevamo già una scorta di dpi in quanto ospedale specializzato in malattie infettive; il resto lo abbiamo comprato e il nostro ufficio preposto agli acquisti si è subito attivato. Il nostro referente è la Soresa, la società della regione Campania che fornisce beni e servizi, tutto ciò che esula dalle competenze della Soresa lo abbiamo acquistato in proprio. Da parte nostra siamo stati molto presenti per sorvegliare che ci fosse una distribuzione equilibrata dei dispositivi, per evitare eccessi in certi reparti e carenze in altri, anche monitorando il loro tasso di utilizzo che varia da reparto a reparto, maggiore in rianimazione e subintensiva minore nei reparti in cui si potevano limitare le entrate a 3-4 al giorno, concentrando le attività da svolgere in quel lasso di tempo, anche per ridurre i rischi di contagio.

Come è possibile che ci sono ospedali che hanno avuto carenza o addirittura mancanza di presidi di protezione?

Catapano. Queste attrezzature ci arrivano nella quasi totalità dalla Cina e in particolare proprio dalla regione di Wuhan, epicentro della pandemia. Quindi essendo lì tutto chiuso dal lockdown è stato inevitabile che qui ci sia stata una penuria di dpi. Noi siamo stati fortunati perché a causa del protocollo relativo all’epidemia di Ebola del 2009, ogni anno abbiamo acquistato materiale destinato a questo vecchio progetto e ci è tornato utilissimo allo scoppio dell’epidemia.

Il servizio di Sky News Regno Unito che vi ha eletti durante l’emergenza Covid-19 il miglior ospedale italiano per quanto riguarda la protezione dal contagio del personale è stato la consacrazione del vostro lavoro.

Catapano. E’ vero. Quel reportage ha consacrato un ospedale che fino a quel momento era stato considerato il brutto anatroccolo, prima della pandemia quando dicevamo che lavoriamo al Cotugno la gente ci guardava con timore a mostrare con chiarezza la paura che c’è ancora verso la malattia infettiva.

Giuseppe Trocciola. Il nostro ufficio aveva l’incarico di seguire la distribuzione e bilanciamento delle scorte di dispositivi di protezione individuale, una procedura strategica perché da essa dipendeva l’efficienza dell’ospedale e siamo riusciti a portarlo a termine in modo egregio. E’ proprio per quella procedura che Sky ci ha individuato come l’ospedale per eccellenza contro la pandemia. Il poco che avevamo siamo stati bravi a distribuirlo bene al personale che è stato molto attento a gestire i contatti con gli ammalati. Questo ci ha permesso di avere pochissimi contagi interni, diversamente da quanto è avvenuto altrove in Italia.

Avete avuto problemi nei rapporti con la gente durante la pandemia per il fatto di lavorare al Cotugno?

Catapano. Assolutamente no, anzi… Piuttosto c’è stato “l’effetto eroe” nei nostri confronti, siamo stati visti come i soldati che in prima linea difendevano la popolazione e la gente ci ha mostrato la sua gratitudine.

Trocciola. I vicini di casa nello stabile dove vivo qui a Napoli bussavano alla porta per lasciarmi in regalo dolci, verdure e non era mai successo!

La Pia. La sera attendevano il nostro ritorno non solo i familiari ma anche i vicini di casa che ci salutavano dal balcone e volevano sapere, avere una parola di rassicurazione, hanno cucinato per noi. Oggi che possiamo parlare nuovamente da vicino ci ringraziano per il nostro lavoro.

Ci sono componenti del personale che hanno avuto ricadute negative sul piano psicologico? E voi stessi che avete vissuto da protagonisti la fase cosiddetta “eroica” come avete retto l’impatto con mesi di lavoro oltre ogni limite?

La Pia. So di colleghi, qui in ospedale, che hanno disturbi importanti da stress post traumatico e per questo vengono seguiti dal nostro servizio di psichiatria che ha messo a punto un piano di decontaminazione psicologica da Covid-19. Personalmente, vivere senza sosta l’epidemia ha voluto dire avere giorni tutti uguali, senza distinzione nella settimana e fra giorno e notte, accompagnata sempre dagli stessi odori, dagli stessi scenari, dalle stesse pratiche da eseguire, oggi questo mi ha lasciato come strascico di sentire il peso della fatica, sei sempre stanco. La paura di contagiarci la faceva da padrona, l’obiettivo era “portare la pelle a casa”, propria e dei colleghi, anche se tutti l’abbiamo affrontato con coraggio, nessuno si è messo in malattia. C’era una fortissima tensione a fare bene ciò per cui peraltro siamo pagati, perché da questo dipendeva anche la sicurezza degli altri. E non sempre siamo stati sicuri delle scelte fatte perché tante cose erano inedite anche per noi.

Siamo entrati nella fase 3: qual è l’atmosfera al Cotugno, la tensione è calata?

La Pia. Non siamo più rigidi come nei mesi fra gennaio ed aprile, ma solo perché abbiamo avuto la possibilità di distinguere bene all’interno della struttura i percorsi covid e non covid: ciò ci ha permesso di far tornare la cittadinanza a curarsi in ospedale, dato che siamo un ospedale per le malattie infettive e non solo un covid hospital. In particolare i nostri pazienti cronici avevano dovuto smettere di venire nei mesi scorsi, adesso i sieropositivi e i pazienti con tubercolosi, per esempio, possono di nuovo curarsi qui.

All’interno degli ospedali è stata imposta a livello nazionale una serie di rigide regole molto poco pietose nei confronti sia dei pazienti ricoverati sia dei corpi dei deceduti per covid, che i parenti non hanno potuto incontrare in vita dal momento in cui sono entrati in ospedale e non hanno potuto rivedere per l’ultima volta nel caso in cui siano morti.

Trocciola. Qui al Cotugno quando il paziente entrava nel reparto era trattato in maniera molto umana, direi familiare da tutto il personale, le visite erano proibite dalle regole imposte da protocolli nazionali, estesi anche ai corpi dei defunti perché la vittima andava immediatamente sanificata, sigillata in buste e portata in sala mortuaria. Non lo trovo normale, ma dovevamo farlo.

Catapano. I parenti degli ammalati di covid a loro volta erano automaticamente posti in isolamento domestico, quindi non potevano materialmente muoversi da casa, al punto che non c’era neppure la possibilità per loro di portare effetti personali ai degenti e l’ospedale ha fornito il kit di igiene personale e i pigiami monouso. Io lavoro qui da 30 anni e ricordo che i pazienti deceduti per aids venivano chiusi nelle casse di zinco e poi in cassa di legno e anche loro non potevano essere visti dai parenti. La tutela della salute della popolazione era prioritaria.

L.a Pia. Mettendoci dal punto di vista dei parenti che restano a casa l’ammalato è come precipitato in un buco nero, nel senso che da un momento all’altro, quando è entrato in ospedale non hanno più potuto incontrarlo, ed è difficile accettare di vedere scomparire una persona con cui hai diviso magari la vita: comunque quando si è potuto hanno consentito di vedere i degenti attraverso un vetro. Più in generale credo che l’esperienza del Covid-19 ci abbia dato l’occasione di capire che la medicina non può essere costruita solo su un sistema convenzionale fatto di diagnosi, farmaci, medici che amministrano la cura. La malattia deve essere combattuta pure attraverso aspetti che sono complementari alla terapia e di essi fa parte l’attenzione alla persona, non solo al suo corpo malato ma anche all’anima, attraverso il modo di porgersi, i gesti che si compiono verso il paziente, le relazioni che si costruiscono.

Secondo voi gli ospedali come dovranno affrontare i prossimi mesi?

Catapano. In autunno tutti gli episodi di febbre dovranno essere valutati per capire se si tratta di Covid-19 o di influenza stagionale, è questa l’ottica in cui dobbiamo ragionare e i reparti devono essere pronti a questa evenienza. Quindi si devono organizzare in ogni reparto delle stanze cuscinetto in cui mettere i pazienti che entrano per altre malattie e che comunque devono ricevere il tampone. Se il primo tampone è negativo, nelle stanze cuscinetto attenderanno il secondo tampone negativo, per poi essere allocati nei reparti per i degenti covid free. Questo significa che il personale tratterà il paziente in questo lasso di tempo  come se fosse un sospetto covid con tampone negativo, quindi con cautela ma non con la rigidità che abbiamo avuto nei mesi della fase 1 verso chi entrava in ospedale come sospetto. Il personale dovrà sempre indossare la mascherina ffp2, un camice idrorepellente, i guanti; peraltro anche nei reparti covid free e all’interno dell’ospedale siamo obbligati a indossare la mascherina, perché dobbiamo ragionare nei mesi che verranno come se fossimo tutti potenziali infetti.

Trocciola. Un’altra ipotesi che si sta considerando è di creare in ospedale due percorsi nettamente distinti: uno per malati sospetti covid e con febbri che li incanali, nel caso risultino positivi al Corona virus, fino al corpo G del Cotugno, dedicato al Covid-19, e uno per tutti gli altri.

Cosa pensate della gestione dell’emergenza condotta dal presidente della Regione De Luca?

Catapano. De Luca è stato ammirevole, è la persona che ci invidiano, la sua determinazione, il suo approccio deciso, anche autoritario sono stati funzionali, la popolazione lo ha ascoltato e ha fatto fare bella figura alla Campania. Napoli era vuota quando tutti ci aspettavano al varco pensando che saremmo stati indisciplinati. E poi i suoi discorsi informali, le sue uscite nei social sono stati efficaci, con la sua gestualità è riuscito a raggiungere tutti, ogni ceto sociale.

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