Friday, April 19, 2024

LE DONNE DI GIORGIO

Text_ Gianluca Castagna Photo_ Dayana Chiocca

Durante una delle sue frequenti visite nell’isola d’Ischia, trovandosi a Forio alla Colombaia, la villa che fu di Luchino Visconti (e che egli amò molto) fu chiesto a Giorgio Albertazzi cos’era rimasto, tra quelle mura e quei giardini, della personalità del Maestro che lo fece debuttare a teatro nel ’59 in “Troilo e Cressida” di Shakespeare. «Nulla», rispose Albertazzi. Disincantato, ma franco fino al midollo com’era sempre stato nella vita e nell’arte. Seguendo il suo sogno fino in fondo e amando la poesia, la cultura, la bellezza, il palcoscenico.

Imperatore del teatro italiano (non solo perché ne interpretò uno, Adriano, per più di 20 anni), voce di insuperabile morbidezza e duttilità, divo sin da subito a dispetto del pedigree controverso. Eh sì, perché Giorgio Albertazzi aveva combattuto a Salò, e nell’Italia politicizzata del dopoguerra, è sempre stato considerato una figura legata alla destra. In realtà, era un uomo, prima ancora che un artista, profondamente libero. Capace anche di perdersi in progetti impossibili, grandi personaggi drammatici, spettacoli riusciti e sbagliati, provocazioni e affermazioni apodittiche che rivelavano una vitalità indomita, oltre che una salutare allergia alle convenzioni e ai tic dei colleghi più blasonati o riveriti.

Albertazzi è stato forse l’artista, di una certa grandezza, che – più di ogni altro – si è esibito nell’isola, anche in palcoscenici inconsueti. A Serrara Fontana, ad esempio, nel 2006, in una serata di fine estate insolitamente fredda che affrontò con la tempra di un giovanotto. O a Villa Arbusto a

Lacco Ameno. Reading, monologhi, happening sotto le stelle. Riflessioni d’altra natura, talvolta più dense e sganciate dagli ormeggi letterari di partenza. Sempre nel segno di una spiccata generosità, dote che gli riconoscono tutti. Gli impresari, le attrici che scoprì e lanciò, gli amici con cui condivise ricordi ed entusiasmi nei suoi anni più maturi. Come Franco Iacono, che a un anno circa dalla sua scomparsa, avvenuta in Toscana il 28 maggio 2016, ha voluto ricordarlo in due giornate di studio e testimonianze. Coinvolgendo alcuni dei suoi collaboratori più fidati, interpreti che hanno condiviso pezzi di un cammino artistico longevo e ricchissimo, e le scuole isolane, a cui è stato mostrato un documentario sulla storia del teatro curato dallo stesso Albertazzi insieme a Dario Fo.

«L’Associazione Terra ha voluto questo omaggio per celebrare l’Arte di Giorgio Albertazzi e per ricordare il suo particolare rapporto con l’Isola d’Ischia» ha spiegato Franco Iacono. «Penso alle sue stupende “performance” al Belvedere di Serrara, a Villa Arbusto, all’Antica Libreria Mattera, a Villa Napoleone. Gli “dovevo” questo omaggio, anche per la personale amicizia di cui Giorgio mi ha onorato».

Al Regina Isabella di Lacco Ameno, tempo e spazio per i ricordi, le immagini, gli incontri, le suggestioni di un’intera carriera. Come quelle, centrali, dedicate alle periodiche riprese di «Memorie di Adriano», lo spettacolo tratto dal romanzo di Marguerite Yourcenar con regia di Maurizio Scaparro, lavoro simbolo della sua maturità d’attore. Nelle riflessioni immaginarie dell’imperatore romano Albertazzi avvertiva la fine della bellezza che si consuma, la nostalgia per la classicità che si univa al suo vitalismo mai esausto, al suo spiritaccio fiorentino, al suo essere attore sino in fondo tanto da salire su quel palcoscenico che riusciva a dominare malgrado l’inevitabile appanno motorio dovuto all’età. Così era attore anche nella sua vita, seduttore di qualsiasi tipo di pubblico, in scena e fuori.

Il musicista Mimmo Maglionico ricorda «la meraviglia di lavorare con Giorgio in un luogo bellissimo come Villa Adriana. Da musicista, mi colpiva, la semplicità e la scorrevolezza che acquistava un testo per niente facile. Ascoltandolo da Giorgio, arrivava con una chiarezza unica, ricordo ancora lo stupore di fronte a tanta bravura, a tanta naturalezza».La cantante e presentatrice Luisa Corna collaborò con lui nello spettacolo “Mami pappi e sirene in Magna Grecia”. «L’ho incontrato a Firenze, durante un concerto. Qualche giorno dopo mi chiamò per chiedermi se volevo fare i Canti delle Sirene. Poi mi propose Circe. Non mi sentivo all’altezza: un conto è studiare teatro, altro è farlo confrontandosi con interpreti di grande mestiere. Trovammo un compromesso: avrei studiato la parte, sostenuto un provino a patto che fosse sincero. Alla fine funzionò. ».

Fiorella Ceccacci Rubino ha lavorato con Albertazzi per più di dieci anni. “Frugando nella valigia di Flaiano”, “La governante” (da Vitaliano Brancati), “Harem”, “Il mercante di Venezia”, “Memorie di Adriano”: «Ogni sera creava una magia, entrava in scena ed era un fatto. Il teatro, diceva, è il silenzio udibile». «Giorgio è un provocatore. E io, agli esordi della mia carriera, cercavo proprio qualcuno che mi chiedesse di tirare fuori dal mio intimo sentimenti che nemmeno sapevo di avere. Il primo ruolo che ho recitato con lui, prima che tra noi nascesse una relazione, fu quello di un transessuale. Rimasi stupita: perché scelse proprio me? Tutto pensavo fuorché di poter interpretare un trans». A dirlo è l’attrice Mariangela D’Abbraccio, legata ad Albertazzi da un periodo di vita e di arte. «Mi ha insegnato a capire cosa significava stare in scena. Non abbiamo lavorato tanto insieme, ma sono state stagioni cruciali. “Dannunziana”, ad esempio, è uno spettacolo costruito su di me, sul mio corpo e la mia sensualità. Venivo dal teatro dei De Filippo, la compagnia teatrale più importante d’Italia. Se Eduardo mi ha benedetta, è stato Giorgio a lanciarmi. Scegliendo le cose giuste per me. Era un attore modernissimo per la sua generazione, ha fatto quello che anni dopo avrebbero fatto Brando, De Niro e Al Pacino». Una modernità che in fondo si è espressa soprattutto sul palcoscenico e nelle questioni che hanno sempre animato il suo teatro, anche quello più classico: preservare la tradizione vuole dire davvero portare avanti una prassi polverosa e distante? Come si può mantenere una dimensione recitativa ‘alta’ senza per questo rinunciare all’autenticità?

Al termine dell’omaggio una proposta di Franco Iacono all’amministrazione di Lacco Ameno: intitolare ad Albertazzi l’arena (attualmente assai malmessa, in verità) di Villa Arbusto. Invito affatto temerario, dato l’amore che una delle figure più emblematiche del palcoscenico italiano ha sempre dimostrato per la cultura della Magna Grecia e per una terra che ne è diventata primo avamposto in Occidente.