Tuesday, April 23, 2024

LO SCASSINATORE DEL TERZO CONDONO

Interview_ Riccardo Sepe Visconti  Photo_ Riccardo Sepe Visconti  Pencil and Ink_ Pietro Mureddu

E’ lui, l’avvocato ischitano Bruno Molinaro l’artefice dell’articolo 25 del decreto Genova, etichettato come “nuovo condono” dai suoi detrattori, salutato come la migliore soluzione possibile per far partire finalmente la ricostruzione nelle aree terremotate dell’isola d’Ischia, da chi lo ha a lungo atteso. L’articolo 25, infatti, indica le coordinate da seguire per la ricostruzione degli edifici colpiti dal terremoto del 21 agosto 2017 non in regola dal punto di vista del titolo edilizio, che sono abusivi insomma. In questa articolata intervista, Molinaro, esperto di diritto amministrativo nel settore dell’urbanistica, edilizia sanzionatoria e tutela del paesaggio, tocca tutti i punti caldi che ruotano attorno al problema spinoso dell’abusivismo e delle responsabilità disattese da decenni che hanno generato il nodo gordiano che ci si ritrova oggi a cercare di sciogliere.

L’articolo 25 di quello da tutti conosciuto come decreto Genova e che dal 16 novembre 2018 è legge, costituisce la più controversa delle disposizioni volute fortemente dal Governo giallo-verde per regolare la ricostruzione nei comuni terremotati di Casamicciola, Lacco Ameno e Forio. Esso serve, infatti, a dirimere il problema della riedificazione di fabbricati distrutti o danneggiati dal terremoto del 21 agosto 2017 che, in parte o per intero, non hanno un titolo edilizio: per questa ragione la stampa e i media hanno parlato di un condono varato ad hoc per l’isola d’Ischia. Le chiedo subito, quindi, se è vero che l’art. 25 costituisce un nuovo condono.

Più d’uno lo ha definito “condono tombale”, ma non è così, in quanto l’articolo 25 circoscrive in maniera puntuale chi può fruire del beneficio. La norma, infatti, interessa unicamente i fabbricati distrutti o danneggiati dal sisma, quindi non abbraccia né l’intera estensione dei tre Comuni colpiti né tantomeno gli altri tre esterni all’area terremotata. Ancora, e si tratta di un punto fondamentale, la legge si limita a definire le modalità di esame per portare a conclusione procedimenti di sanatoria già in atto, spesso da tanti anni, se si tiene conto che per chi ha aderito al primo condono, la legge n. 47/85, sono trascorsi oltre 30 anni e ancora tantissimi non hanno avuto una risposta definitiva. Non è vero, infine, che l’articolo 25 interessa più di 27mila pratiche: questa cifra la si ottiene considerando tutte le domande di condono pendenti per l’intera isola e aggiungo che, comunque, queste non si riferiscono tutte a edifici; insomma non c’è un’equazione 1 domanda di condono = 1 edificio privo di permesso a costruire. Più del 50% delle 27mila domande, infatti, riguarda tettoie, verande, balconi, finestre, ristrutturazioni invasive, insomma interventi edilizi minori; il resto, invece, è relativo a vere e proprie case con aumenti di volume.

Sempre secondo l’art. 25 anche le istanze inoltrate in base al terzo condono (quello voluto dal governo Berlusconi nel 2003) devono essere gestite con riferimento alle disposizioni del primo condono, quello del 1985.  Sergio Rizzo, vicedirettore di Repubblica, ha scritto che si tratta di una legge più permissiva delle successive e, quindi, questa scelta finirebbe per facilitare le sanatorie.

Non è così. Questa idea si fonda sul fatto che il primo condono non prevedeva limiti volumetrici, cioè si potevano sanare anche palazzi … E questo è vero, ma la lacuna è stata colmata dal condono successivo che (art. 39, comma 18) ha risolto il problema, eliminando dal sistema le norme incompatibili tra cui, appunto, quelle precedenti che non ancoravano la sanatoria a limiti volumetrici. In pratica, attualmente per una domanda di sanatoria non definita, anche se fu presentata nel 1985, valgono le prescrizioni del condono più recente e, pertanto, i fabbricati o gli ampliamenti che presentano oltre 750 metri cubi di volume non hanno diritto al condono.

Allora, perché si è fatto riferimento proprio alla 47/85 e non alle successive leggi condonistiche?

Si è ritenuto di individuare in questa prima normativa la chiave per risolvere i problemi legati al condono del 2003. Il rinvio alla 47/85 per le case terremotate di Ischia risponde, infatti, all’esigenza di superare la grave limitazione costituita dalla necessità di dimostrare la conformità urbanistica, così come richiesto dal terzo condono, appunto. Il terzo condono che, peraltro, nei Comuni del cratere interessa solo una piccola parte del patrimonio edilizio esistente, lo considero una legge-truffa perché lega la sanabilità dell’abuso all’accertamento della conformità urbanistica, cioè alla compatibilità con con le previsioni del piano regolatore.  Ciò significa che una casa realizzata entro il 31 marzo 2003, anche in zona vincolata, può avere il titolo edilizio a condizione che sia conforme al piano regolatore. Così facendo, però, il legislatore ha condizionato la sanabilità ad un attributo che sapeva non avrebbe potuto essere dimostrato, perché molti Comuni non hanno piano regolatore; di conseguenza lo Stato ha incamerato l’oblazione ma, nei fatti, la legge è rimasta inapplicata. Perché legge-truffa? Perché analoghe norme sulla sanabilità legata all’accertamento di conformità urbanistica erano – a ben vedere – già presenti nel sistema in via ordinaria e non era il caso di replicarle in una normativa di condono che è, per sua natura, straordinaria. Mi riferisco, in particolare, all’articolo 36 del testo unico dell’edilizia e, prima ancora, all’articolo 13 della legge n. 47/85 che pure prevedono l’obbligo della conformità (doppia conformità per l’esattezza). Senonché tali norme sono relative ad abusi “formali”, cioè ad opere che, se non realizzate senza titolo, potevano ottenere dal Comune il permesso di costruire, qualora regolarmente richiesto prima della loro esecuzione. Viceversa, il condono si riferisce storicamente soprattutto agli abusi sostanziali. Ne deriva che prevedere, nel terzo condono, l’obbligo della conformità urbanistica per questi abusi sostanziali ha rappresentato, a mio avviso, una ingiustificata compressione di aspettative del cittadino giuridicamente tutelate, sulla base di un “copia e incolla” di principi e disposizioni applicabili a fattispecie completamente diverse. Rinviando, con l’articolo 25, al primo condono, si è potuto, dunque, eliminare l’unico vero handicap all’esame delle istanze più recenti.

Accanto a questo, che è il dato giuridico, c’è anche una necessità pratica.

Sì, è data dal fatto che sulla maggioranza delle case danneggiate dal sisma pendono almeno due domande di sanatoria. Il nucleo originario di esse è interessato al primo condono; successivamente è stato realizzato un ampliamento, la casa è cresciuta e quindi si è presentata una seconda domanda, spesso per il condono del 2003. Se si respingesse questa seconda domanda, la ricostruzione sarebbe impossibile, perché l’edificio da un punto di vista fisico-strutturale è diventato una struttura unica, in cui è inscindibile il nuovo ampliamento dal corpo originario. Di conseguenza se si rigetta la domanda presentata in base al condono Berlusconi ne viene che va demolito l’ampliamento, la qualcosa, però, può comportare anche l’abbattimento della parte oggetto della precedente domanda di condono. Ricostruire oggi significa anche superare questo tipo di difficoltà attraverso la norma di cui stiamo discutendo ed eliminare in radice ogni possibile contenzioso che è sempre dietro l’angolo.

Perché nonostante il tempo trascorso queste pratiche non sono state esaminate prima?

I Comuni non hanno avuto interesse a definire le domande di condono perché proprio il primo (quello considerato più “permissivo”) prescriveva che, se la Soprintendenza non dava il suo parere entro 6 mesi, questo silenzio equivaleva a un rifiuto. A fronte della violazione dell’obbligo di risposta, i Comuni sapevano, comunque, che, se avessero trasmesso le pratiche, avrebbero avuto molti rigetti, cui segue l’applicazione della sanzione della demolizione: in questa prospettiva hanno scelto di non procedere, e si tratta di un patrimonio edilizio enorme, tenuto conto anche che lo stesso discorso vale per il secondo condono (legge n. 724 del 1994). Adesso c’è però una novità importante, che cambia questa prospettiva.

Di cosa si tratta?

Chi oggi si scandalizza per l’art. 25, mi riferisco per esempio a Legambiente, non ha avuto la stessa reazione per una norma introdotta un po’ di tempo fa, quella sul silenzio assenso. Ed è a questa che mi riferisco. Oggi, infatti, trascorsi 45 giorni dall’inoltro della pratica di condono alla Soprintendenza, se quest’ultima non risponde in modo esplicito, il condono sotto il profilo paesaggistico riceve l’assenso. Insomma, la mancata risposta che un tempo equivaleva ad un rifiuto, ora significa accettazione. Una tale norma costituisce una rivoluzione e, intendiamoci, non la critico, essendo, fra l’altro, ispirata all’esigenza di attuare principi comunitari. Dico solo che non ha senso tacere sul silenzio assenso, che toglie alla Soprintendenza il potere di esprimere un giudizio di tipo estetico-paesaggistico, e sappiamo benissimo che le Soprintendenze non hanno il personale sufficiente a farlo nel breve lasso di tempo dettato dalla legge, e scandalizzarsi, invece, per l’articolo 25 che cerca di risolvere un problema – è il caso di dirlo grosso come una casa – che è quello della ricostruzione di abitazioni distrutte dal terremoto con migliaia di sfollati.

Voglio farle una domanda molto diretta: in base al decreto appena approvato, verranno sanate anche le case che si trovano negli alvei, nelle zone a rischio idrogeologico?

I “dissidenti” del Movimento 5 stelle, contrari alle norme stilate per Ischia, hanno sostenuto che il ricorso al primo condono come riferimento anche per gli altri mira ad eludere appunto questo tipo di vincoli. Ebbene, è una vera sciocchezza, perché proprio l’articolo 33 del primo condono fa riferimento ai vincoli di inedificabilità assoluta, e riguarda costruzioni realizzate in prossimità di strade fuori dai centri abitati per ragioni di sicurezza, in aree gravate da servitù militari, vicino ai cimiteri e sulla fascia costiera. Quanto al vincolo idrogeologico, diversamente da come credono in tanti, esso non è un vincolo di inedificabilità assoluta. Può essere, infatti, rimosso dall’autorità competente, oggi il Comune, a condizione che il parere di quest’ultimo sia favorevole. Detto ciò, si tratta naturalmente di un discorso molto delicato, perché ne va della vita delle persone, e si devono valutare i singoli casi.

Affrontiamo un altro punto fondamentale della legge per la ricostruzione a Ischia: chi potrà ricevere il ristoro economico del danno?

Su questo tema purtroppo la legge mostra una forte incongruenza. Il comma 3 dell’art. 25 prevede nella sua prima parte che chi si vedrà accolta la domanda di condono possa ricevere il contributo per ricostruire. Invece nella seconda parte la norma recita “il contributo non spetta per gli aumenti di volume oggetto di condono”: la logica avrebbe voluto che fossero esclusi i fabbricati o parte di essi completamente abusivi, che non avevano fatto istanza di sanatoria! Così non è stato e adesso c’è un’evidente contraddizione che rende questa disposizione irragionevole. Lo spiego con un esempio: in base alla legge così come è stata varata, chi aveva realizzato una casa interamente abusiva e ha fatto richiesta di condono, qualora venga accolta, riceverà anche il contributo per ricostruire. Nel caso, invece, di un fabbricato legittimo presso il quale sono stati realizzati aumenti di volume, anche se per questi ultimi viene concessa la sanatoria, il contributo lo si riceve solo per la parte legittima. In tal modo viene a crearsi una disparità con il primo soggetto, che ha realizzato un edificio totalmente abusivo e, paradossalmente, ha un trattamento migliore. Se proprio si vuole dare un senso alla norma bisogna pensare che il legislatore abbia inteso ritenere l’aumento di volume di natura voluttuaria e, per questo, abbia ritenuto di escludere per esso qualsiasi effetto premiale in termini di indennizzo per la ricostruzione.

Si potrà correggere e come?

Il Commissario alla ricostruzione ha un potere ampio in quanto i suoi poteri appunto traggono diretta legittimazione dal Governo che lo ha nominato e l’ordinanza commissariale è un atto che ha forza di legge: per il terremoto del Centro Italia problemi simili a quello del contributo economico sono stati risolti con ordinanze commissariali, quindi è probabile che anche nel nostro caso si faccia ricorso a tale strumento.

In realtà, il problema delle case realizzate senza titolo edilizio affligge tutto il territorio nazionale, e molte regioni hanno profili di illegalità simili se non superiori a quelli di Ischia e della Campania, ma dall’esterno l’isola viene vista, a torto, come il cuore del problema. Partendo da questa considerazione, è possibile che l’art. 25 possa in futuro diventare uno strumento per aggirare i divieti, possa cioè essere esteso anche alle altre case abusive, non solo a quelle danneggiate dal terremoto?

Tutte le disposizioni di legge post sisma sono eccezionali e per principio la norma eccezionale deroga rispetto a quella ordinaria e, quindi, come tale non può essere estesa ad altre situazioni diverse da quella per la quale è stata concepita. E’, tuttavia, risaputo che esiste un’esigenza sentita di chiarire i problemi posti dal terzo condono per edifici che si trovano in zone sottoposte a vincolo, cui abbiamo accennato.

Quante delle domande di condono sull’isola riguardano ville e alberghi, edifici prestigiosi e quante case di civile abitazione, quelli che vengono definiti anche abusi di necessità?

Ad Ischia non ci sono ecomostri, grosse speculazioni, abbiamo fabbricati abusivi riconducibili all’edilizia economico-popolare, case con una superficie in genere non superiore ai 120-130 mtq. A mio parere non si deve temere di parlare di abusi di necessità: una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha sdoganato questo concetto, condannando la Bulgaria per aver demolito l’unica casa di una famiglia, una piccola costruzione realizzata sulle sponde del Mar Nero. La Corte ha giudicato sproporzionata la condanna, considerando giusto demolire le opere abusive con una sanzione proporzionata e tempestiva, ma ha ritenuto che entrambi le condizioni in questo caso non siano state rispettate, essendo passati anni dalla realizzazione dell’opera. Proprio ciò che si verifica in Campania, in Sicilia dove ci sono moltissimi ordini di abbattimento che i magistrati pretendono di eseguire a distanza anche di decenni dalla costruzione del fabbricato. Ebbene, la Corte Europea condanna tutto questo.

E’ riuscito a darsi una risposta sul perché in Italia si sia creata una situazione così intricata?

Condivido l’analisi del giornalista del Guardian John Hooper che, con lucidità, individua l’origine di tutti questi problemi nel fatto che dopo la caduta del Fascismo si è determinato un sistema che volutamente ha distribuito il potere fra più soggetti a diversi livelli, creando una serie di pesi e contrappesi, di veti incrociati. I padri costituenti non volevano rischiare che si ponessero le condizioni per una nuova dittatura, ma una delle conseguenze è stata che non si sa più chi comanda. La politica? Il burocrate? Il magistrato? Il giornalista? Ciò che decide l’uno lo bocciano gli altri! Oggi abbiamo un problema di deficit decisionale. E in Europa questo impianto è di difficile comprensione.

Cerchiamo ugualmente di approfondire il tema delle responsabilità: di chi è la colpa per un tale stato di cose?

Abbiamo un mare di responsabilità e tanti soggetti inadempienti a vario titolo, rispetto a una legge che viceversa è molto precisa. Sicuramente il cittadino che ha infranto la legge è colpevole: altrove in Europa è impensabile aprire una finestra senza avere il titolo per farlo, ma ti danno anche gli strumenti urbanistici per poter realizzare le tue legittime esigenze, e soprattutto non è ammesso eseguire oggi un ordine di demolizione per un abuso risalente a 33 anni fa …

Al secondo posto metterei i Comuni che in moltissimi casi, anche nell’isola d’Ischia, non si sono dotati degli strumenti urbanistici, ed è bene che si sappia che la legge prevede (art. 141 Testo Unico Enti Locali) lo scioglimento dei consigli comunali che non hanno dotato le comunità amministrate di tali strumenti, in particolare il Ministro dell’Interno deve procedure a sciogliere le Amministrazioni inadempienti. Ma colpevole è pure la Presidenza della Giunta Regionale, che non esercita il potere sostitutivo che le compete: la legge dice, infatti, che se il Comune non provvede agli abbattimenti deve intervenire la Regione e in Campania questo potere è stato esercitato sì e no 3-4 volte. Responsabili di tale condizione di incertezza nei rapporti fra cittadino e pubblica amministrazione sono – a ben vedere – anche le Procure che avrebbero già dovuto eseguire le demolizioni, a partire dall’entrata in vigore della prima legge di condono, nel 1985, che prevedeva che dopo la sentenza di condanna il giudice dovesse ordinare la demolizione. Ebbene, ad Ischia abbiamo tante sentenze emesse mentre la 47/85 era già in vigore, con ordini di demolizione, ma le Procure non si sono mosse. Solo da pochi anni, dopo un’ispezione disposta dal Ministero, qualcosa è stata fatta ma pur sempre con colpevole ritardo anche alla luce di quanto stabilito dalla Corte Europea in tema di proporzione e tempestività della sanzione demolitoria. Altra incongruenza non da poco che la gente non riesce a comprendere è data dal fatto che l’Autorità Giudiziaria interviene il più delle volte a macchia di leopardo, mentre si dovrebbe demolire tutto ciò per cui esiste una condanna, perché la legge deve essere uguale per tutti. E a chi dice che non ci sono i fondi rispondo che è falso: proprio la legge detta del terzo condono istituisce un fondo di rotazione di 50 milioni di euro al quale possono attingere autorità giudiziaria, Comuni, Presidenti di Regione, Soprintendenze, anch’esse con potere di surroga rispetto alle demolizioni non eseguite dagli altri Enti – ma ancora una volta nessuno si è assunto alcun tipo di responsabilità …

 

 

A ISCHIA STUDIOSI DA TUTTO IL MONDO SI SONO RIUNITI PER UN WORKSHOP INTERNAZIONALE SUL DELFINO COMUNE, ORGANIZZATO DALLA ONLUS OCEANOMARE DELPHIS CHE DA 25 ANNI STUDIA, GRAZIE AL LAVORO DI SCIENZIATI ED ESPERTI, LE POPOLAZIONI DI CETACEI CHE ABITANO IL CANYON DI CUMA, HABITAT PREZIOSO PER QUESTI SPLENDIDI MAMMIFERI.

Dalla parte dei delfini. Patrimonio del mare che bagna l’isola d’Ischia, del Tirreno, del Mediterraneo tutto. Ma vanno tutelati, salvaguardati e protetti. E per farlo, si sono riuniti a Ischia – nell’Albergo della Regina Isabella – studiosi ed esperti di cetacei da tutto il mondo. Chiamati a raccolta, nell’ambito del primo Workshop Internazionale sul delfino comune, da Oceanomare Delphis, l’organizzazione no profit per lo studio e la tutela dei cetacei nel Mediterraneo che a Ischia ha da 25 anni la sua base operativa. E che anche quest’anno, da maggio a ottobre, studierà e monitorerà i cetacei che popolano il Golfo di Napoli e il cosiddetto canyon di Cuma, la profonda valle sottomarina compresa tra Ischia e Ventotene, parte dell’Area Marina Protetta “Regno di Nettuno”, dove stenelle, tursiopi, capodogli e balenottere comuni sembrano aver trovato l’habitat ideale per nutrirsi e riprodursi. Un piccolo paradiso dei cetacei, solcato dal veliero d’epoca della onlus, il Jean Gab: dotato di particolari idrofoni in grado di geolocalizzare i mammiferi marini, è una sorta di laboratorio a cielo aperto. A bordo, con il team guidato dal comandante Angelo Miragliuolo, corsisti che arrivano a Ischia da tutto il mondo per osservare i delfini.

Dal 13 al 15 aprile durante l’incontro ischitano referenti da quattordici paesi (Gran Bretagna, Francia, Libia, Slovenia, Svizzera, Grecia, Italia, Israele, Malta, Emirati Arabi, Spagna, Algeria, Tunisia ed Egitto) hanno valutato lo status della popolazione mediterranea del delfino comune, delineando le minacce a cui è sottoposta e definendo le azioni di conservazione, sempre più irrinunciabili, della specie. Una sorta di stati generali, organizzati da Oceanomare in collaborazione con Bicref (Malta) e Oceancare (Svizzera): il quadro emerso dalla condivisione di dati e informazioni provenienti dalle singole realtà non è particolarmente incoraggiante. Nel dettaglio, a Ischia ha trovato piena conferma il trend in declino di presenza e abbondanza della specie che era già stato evidenziato nel 2003 dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN). Vale a dire: in tredici anni si è fatto troppo poco, nel Mediterraneo, per proteggere il delfino comune. Di qui l’esigenza di redigere un nuovo piano di conservazione condiviso tra le parti, che proprio a Lacco Ameno si sono impegnate ufficialmente a promuovere raccomandazioni e strategie con i rispettivi governi di appartenenza.

Centrale e nevralgico il ruolo dell’isola, non casualmente scelta come sede del workshop: qui i delfini comuni, specie particolarmente minacciata, ci sono (benché non li si avvisti dal 2013), qui Oceanomare Delphis opera con passione e competenza. Servirà tuttavia l’impegno di Governo e Guardia costiera perché le principali minacce a cui è sottoposto il delfino comune si ridimensionino. «In particolare – ha sottolineato il presidente della onlus, Daniela Silvia Pace – bisogna fare i conti con il sovrasfruttamento delle risorse ittiche e le interazioni con la pesca, sempre più invasiva, e con fenomeni globali come il cambiamento climatico in atto». Una serie di studi specifici mostrerà come e perché il delfino comune risenta dell’inquinamento (in particolare di microplastiche), mentre nel corso del workshop (i cui risultati saranno editi nella rivista scientifica “Aquatic Conservation: Marine and Freshwater Ecosystems”), si è anche sottolineato che in alcune aree sono stati osservati comportamenti relativamente nuovi, compresa l’ibridazione del delfino comune con altre specie di cetacei: non un buon segno, secondo gli studiosi. «Ad ogni modo – ha sottolineato la Pace – su un totale di oltre 5000 delfini osservati, 293 animali diversi sono stati fotoidentificati nelle zone monitorate dai ricercatori italiani in un periodo di oltre 10 anni, con alcuni individui che sono in grado di compiere lunghi spostamenti di centinaia di chilometri, per esempio, gruppi di femmine con piccoli sono stati costantemente osservati solo nelle acque di Ischia e in Sicilia». All’evidente diminuzione degli avvistamenti ischitani del delfino comune, fanno tuttavia da contraltare i risultati positivi – in termini di avvistamenti – di altre specie, a cominciare dai capodogli. Nel 2015 a bordo del Jean Gab, le 86 uscite in mare (per un totale di 4044 chilometri e 662 ore di attività di ricerca e monitoraggio) hanno fruttato un totale di sessanta incontri. Un inno alla biodiversità da proteggere, in attesa che si riveda il delfino comune.

La centralità dell’isola d’Ischia nella tutela dei cetacei, è stata pure l’occasione per ribadire la necessità che l’Area Marina Protetta riprenda finalmente a funzionare, come auspicato dallo stesso Comando generale del Corpo delle Capitanerie di Porto. E’ recentissima la nomina del nuovo Direttore del Regno di Nettuno, Antonino Miccio, che è responsabile anche dell’AMP di Punta Campanella, mentre appare sempre più inderogabile l’esigenza di una protezione efficace degli ecosistemi marini e di una comunicazione efficiente verso l’esterno.  Peraltro, «i flussi turistici – hanno aggiunto per l’Azienda di Cura e Soggiorno di Ischia e Procida, che ha patrocinato l’evento, il commissario Domenico Barra e l’ingegnere Mario Rispoli – vanno in modo sempre più marcato verso una direzione di ecosostenibilità e attenzione all’ambiente» e «del resto, la presenza dei cetacei e, in generale, la biodiversità del nostro mare sono valori aggiunti importantissimi per il turismo», ha sottolineato Giancarlo Carriero, proprietario dell’Albergo della Regina Isabella che sostiene da sempre l’attività di Oceanomare Delphis.

Text_ Pasquale Raicaldo

Photo_ Archivio Oceanomare Delphis