Wednesday, April 17, 2024
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CON IL “GIOVANE FAVOLOSO” – CIOE’ GIACOMO LEOPARDI, UNA DELLE PIU’ ALTE VOCI DELLA POESIA MONDIALE – MARTONE HA AFFRONTATO UN PERSONAGGIO COMPLESSO, RILEGGENDOLO ALL’INSEGNA DELLA MODERNITÀ E DI UNO STREPITOSO VITALISMO.

Esiste da sempre un cinema dove i duelli dialettici valgono quanto e più di quelli fisici. Un cinema italiano che ha radici ancorate a melodrammi operistici o che, al contrario, sa essere didattico e fisico, che pone l’oggetto davanti a ogni smania narcisistica del regista e guarda a una messa in scena spoglia, a tratti essenziale, come un frutto acerbo, autentico e vivo. La fissazione mistica del presente-reale raramente si sposa con la prospettiva filistea del botteghino, ma qualche volta avviene. La purezza dello sguardo, lo spirito di servizio, la posizione morale (non moralistica, per carità di Dio) incontrano l’applauso del pubblico, l’encomio del premio, la benevolenza delle corporazioni.
Non era certo facile, per Mario Martone, filmare il verso poetico leopardiano. Tradurre da un linguaggio all’altro la straordinaria, bellissima e terribile poesia di Giacomo Leopardi, uno dei protagonisti assoluti della letteratura di ogni tempo. Ma dopo aver affrontato il Risorgimento in “Noi credevamo”, il regista napoletano è tornato a raccontare la storia e la cultura dell’Ottocento italiano con un film dedicato a un personaggio complesso, grandissimo e in buona sostanza inattuale rispetto allo spirito del suo tempo. Quindi, profondamente cinematografico. “Il giovane favoloso”, premiato a Ischia come miglior film dell’anno, è una scommessa vinta non solo per la quantità di premi prestigiosi conquistati nel suo lungo cammino cominciato alla Mostra d’arte cinematografica di Venezia e che dura tuttora nei mercati internazionali, ma perché è riuscito a rileggere l’esperienza umana e poetica di Leopardi all’insegna della modernità e di uno strepitoso vitalismo. Lontano, quanto più possibile, dall’agiografia, dall’immagine polverosa tramandata dalle scuole, dalle formulette della psicologia da rotocalco, pronte a schiacciare il poeta su una bipolarità irrisolvibile tra ragione e sentimento.
“Così ho pensato di andare verso la grotta, in fondo alla quale, in un paese di luce, dorme, da cento anni, il giovane favoloso”. Le parole di Anna Maria Ortese hanno ispirato il titolo di un film nel quale sono presenti tutti gli elementi che hanno contribuito alla creazione del mito-Leopardi. La formazione a Recanati, con i richiami a un’arcadia infantile presto destinata a sciogliersi in una gioventù inquieta, claustrofobica e infelice; la smania insopprimibile di libertà; i desideri del corpo e il suo disfacimento; l’ostracismo della Chiesa per la sua visione “atea e materialista” e quello degli ambienti liberali e progressisti dell’epoca, che non potevano perdonargli la sua malinconia, il pessimismo radicale, la tragicità di un pensiero che ovviamente entrava in rotta di collisione con la concezione “ottimista” del mondo, dell’umanità e delle sue “sorti magnifiche e progressive”. Infine, l’amicizia con Antonio Ranieri e il finale all’ombra del Vesuvio sterminatore, metafora di un’esistenza opprimente e distruttrice di ogni ansia vitale. Martone non schiva nemmeno la poesia, motore di una ricerca interiore e intellettuale inesauribile. Una sfida forse impossibile per un cinema a prevalente impianto teatrale, il che non significa certo che sia teatro in scatola.
«Sono molto grato a Ischia Global Fest – ha dichiarato Martone nel corso della serata conclusiva della kermesse del luglio scorso – perché mi ha suggerito la direzione da dare a questo film. Il clima particolare, gli incontri, i continui scambi di idee, l’incoraggiamento dei colleghi a seguire fino in fondo le mie idee mi hanno aiutato a fare de “Il giovane favoloso” un film che parla una lingua più universale. Al
successo italiano, davvero sorprendente, spero possa seguire presto un futuro internazionale altrettanto fortunato». Per quest’opera a metà strada tra romanzo popolare e lavoro radicale, incassi che abitualmente arridono solo alle commedie. Lo hanno visto studenti e intellettuali, giovani e adulti, neofiti della sala e cinefili accaniti. «La cosa più bella – ha aggiunto Martone – è come il film abbia continuato a vivere negli amori, nelle opinioni e nelle discussioni degli spettatori. Con i giovani che sono stati la forza decisiva di questo successo, ma anche tanti anziani tornati al cinema proprio grazie a Leopardi, il protagonista della pellicola». Un film che non sarebbe stato lo stesso senza il talento e la generosità del suo interprete principale, Elio Germano, straordinario nell’incarnare il decadimento
fisico e la vitalità disordinata di Leopardi vestendoli di rabbia e tristezza, imprecazioni e silenzi, versi ammalianti e ghigni luciferini. Martone già pensa al suo prossimo film e, nel frattempo, ha regalato a Expo Milano un cortometraggio nato in Cilento, durante i sopralluoghi per i suoi progetti precedenti. E’ “Pastorale cilentana”, storia arcaica del legame tra terra, uomo e animali, ambientata nel Medioevo. Quasi una chiusura del cerchio su cui scivola il rapporto tra Natura e Storia che finisce per proiettare il regista, nato con l’avanguardia, verso temi e forme cinematografiche sempre più nuovi, sempre più ampi.

text_Gianluca Castagna