Thursday, April 18, 2024

People- AURELIA MAESTRIPIERI

n.14/2007

Photo: Famiglia Maestripieri
Text: Silvia Buchner

 

Talvolta, raccontando le storie di certi personaggi ed esplorandone le vite, si ha la fortuna di imbattersi in altri personaggi e di rendersi conto che questi, a loro volta, sono dei protagonisti e meritano un’attenzione speciale.
Esattamente questo è accaduto quando abbiamo ‘incontrato’ e ‘conosciuto’ Aurelia Maestripieri. Il primo impatto è stato una fotografia d’epoca dalla quale letteralmente balzava fuori una signora elegantissima, in abito da gran sera, volto e corpo di notevole bellezza. Si sarebbe detta un’attrice, proprio come quelle del periodo dei ‘telefoni bianchi’, e invece era la donna che, nel 1935, scelse di unire la propria vita a quella di uno dei più importanti pittori figli dell’isola d’Ischia, Vincenzo Colucci, al quale Ischiacity ha dedicato un ampio servizio nel numero precedente.
Il vivido racconto del nipote Silvano Maestripieri (che vive a Ischia proprio nella casa che volle costruirsi sua zia) e le bellissime fotografie dell’album di famiglia restituiscono in verità una figura femminile davvero speciale, e non solo per la sua avvenenza. Aurelia era, infatti, un’imprenditrice, una donna volitiva, che aveva in mano le redini della propria esistenza, una rarità per quei tempi, addirittura un’eccezione nel nostro Paese. Nei primi decenni del ‘900 possedeva una ditta specializzata nella manifattura delle famose telerie fiorentine, e non si trattava di un’eredità di famiglia: l’aveva creata proprio lei, nella città di Pistoia, che è da sempre la capitale di questo artigianato. Lavoravano alle sue dipendenze decine di donne e le sue lenzuola e tovaglie finemente decorate erano nei corredi delle figlie delle migliori famiglie di Firenze, tant’è che il suo ufficio era in via de’ Tornabuoni, una delle più eleganti della città. Aurelia Maestripieri aderì con entusiasmo al Fascismo, tanto che quando dopo la caduta del Regime un maresciallo dei Carabinieri entrò nel suo negozio di Ischia per suggerirle che “a quel punto, forse, era meglio togliere l’immagine del Duce” in bella mostra sulla parete lei replicò “al massimo posso girarla verso il muro … ma staccarla no!”. Nel 1927 fu invitata a Roma per presentare di fronte a Mussolini i preziosi ricami e per l’occasione ideò una speciale tovaglia e gliela dedicò; lui, da parte sua, le donò una fotografia con la sua immagine dedicandogliela.
Un’estate, invece della solita vacanza a Viareggio ‘faticosa’ a causa degli eventi mondani a cui veniva regolarmente invitata, scelse Abbazia, una riposante cittadina sul mare, allora appartenente alla Jugoslavia. Tanto bastò a mutare il corso dell’esistenza di questa donna d’affari che aveva accantonato i sentimenti dopo una delusione amorosa. Una sera nella sala da pranzo dell’albergo, infatti, il suo sguardo incrociò quello di un giovanotto, un pittore, che si trovava lì per un’esposizione. Si trattava di Vincenzo Colucci e fra loro l’attrazione fu immediata e fortissima: lei era fasciata in un abito da sera di lamè e lui la definì “la fontana di Trevi”. Cinque mesi dopo si sposarono a Roma: abitavano in primavera ed estate a Ischia, mentre il resto dell’anno lo trascorrevano nella casa di via Margutta, dove lui ebbe anche l’atelier. Colucci era un bell’uomo, impetuoso e al tempo stesso galante, un vero seduttore, lei una donna di fascino, ricca e dal carattere forte: non erano più tanto giovani quando si sposarono ma quell’artista che viveva con un piede nell’isola e uno nel mondo, la conquistò. La immaginiamo, quindi, al volante della sua decappottabile – proprio così, guidava già negli anni Trenta, mentre il marito non prese mai la patente – in viaggio di nozze, un tour attraverso le grandi città del nord Europa, durante il quale Colucci eseguì una serie di deliziosi piccoli quadri, come anche ritrasse in molte tele la terra di lei, la Toscana. Le fotografie di quel periodo ce li restituiscono eleganti, sofisticati, vestiti di bianco – foulard al collo Colucci, i capelli perfettamente ondulati Aurelia, talvolta in compagnia di cani di razza – come i protagonisti dei quadri di Tamara de Lempicka; spesso circondati da amici, in vacanza sulla neve a Sankt Moritz, a Venezia, al mare, alle feste.
Lei parlava correntemente inglese e francese, e convinse il marito a esporre a New York: il viaggio lo fecero in prima classe, con un transatlantico che appartiene al mito, il Rex. Neanche a bordo lei seppe resistere al gusto dei buoni affari, e vendette agli altri passeggeri tutte le raffinate telerie che aveva portato in una serie di bauli con l’intenzione di piazzarle sul mercato americano. Questa donna che appare a proprio agio negli ambienti più raffinati, seguì suo marito in quest’isola allora sicuramente ancora estremamente semplice e genuina, eppure dovette piacerle. A Ischia aprì, infatti, il negozio e quando decise di mettere una certa distanza fra sé e Colucci che con i suoi tradimenti la faceva soffrire, si costruì una casa non lontana da quella in cui abitavano insieme (sulla riva sinistra del Porto e battezzata “Il Villaggetto”) e la chiamò “La Queta”, a rimarcare il desiderio di una tranquillità che accanto al marito non riusciva ad avere, e tuttavia sembra che dicesse “se divorziassi da Colucci, risposerei Colucci”…

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