Friday, March 29, 2024

n.14/2007

Photo: Redazione Ischiacity
Text: Lucia Elena Vuoso

 

Incontro Gianni Trani, un ragazzo di 36 anni, simpatico e alla moda, per parlare del tatuaggio che ha, un drago cinese celeste e giallo… Niente di speciale, se non fosse per il fatto che se lo è tatuato lui stesso. Eh, già. Gianni di mestiere disegna, ma sul corpo, incide la pelle delle persone, la abbellisce, la decora, la marca per sempre.
Mi fa accomodare nel salottino del centro estetico dove lavora e fin dalle prime domande si apre con me, mi parla come se mi conoscesse da una vita e man mano che l’intervista va avanti, mi rendo conto di quanti appuntamenti abbia, alcuni vanno da lui anche solo per consultarsi, per chiedergli un consiglio, e capisco anche che ho di fronte una persona particolare, un tatuatore particolare, che ama accogliere i propri clienti e trattarli da amici, diventando molte volte il custode di segreti, paure, aspirazioni, sogni, riuscendo poi a trasportare tutto questo sulla pelle.
La moda dei tatoo è esplosa prepotente solo da pochi anni: si ha voglia di parlare di sé, anche attraverso qualche centimetro di pelle, e per sfruttare al meglio questa tendenza tanti si sono improvvisati tatuatori. Tu perché lo fai?
Tengo a precisare che solo di recente è diventato un lavoro alla moda, e io ho iniziato molti anni fa, anzi la mia passione è nata addirittura da piccolo con il disegno. Crescendo non ho avuto occasione di frequentare l’Accademia di belle arti, tuttavia la voglia di disegnare non mi ha mai abbandonato: a 16 anni facevo aerografie, dipingevo sui serbatoi di moto e motorini, ma dopo un po’ ho dovuto smettere perché c’era bisogno di un’officina e di varie attrezzature che non potevo permettermi, però in questo modo mi sono avvicinato al mondo del tatuaggio. Ho iniziato a comprare riviste specializzate e a frequentare corsi. E ne ho seguiti veramente molti prima di iniziare a lavorare, anzi il mio primo tatoo l’ho fatto alla fine di uno di questi a Milano, in sede d’esame. Era un sole…
È stato di buon augurio per la tua carriera! Oggi hai tanti clienti, e sinceramente sono abbastanza sorpresa, non pensavo che gli ischitani amassero farsi disegnare sulla pelle…
E invece sì il tatuaggio ad Ischia è in fase crescente. Sono stati superati i vecchi pregiudizi che vedevano i tatoo come una cosa da carcerati, da marinai, o da minoranze ‘ribelli’. E non penso che sia neanche una moda passeggera! Molti dei miei clienti sono ragazzi giovani, e magari loro lo fanno per accessoriare la propria pelle, ma vengono da me anche persone di una certa età, che hanno deciso di segnare un momento particolare della vita. La cosa più bella è quando i genitori accompagnano i figli a farsi un tatuaggio e dopo ne vogliono uno anche loro.
Perché pensi che ci si faccia tatuare?
Per esperienza posso dirti che si fa principalmente per due motivi, il primo è spirituale: si fa per imprimersi sulla pelle qualcosa che si ha nell’animo quindi per esprimere un particolare stato in cui ci si trova; il secondo è materiale: lo si fa semplicemente per decorarsi.
Il tatoo più bello e il più brutto che hai fatto.
Non ci sono tatuaggi belli o brutti. Forse i primi che ho fatto erano molto tecnici e mancavano di quella passione che ci metto ora, ma non li definisco brutti. Posso dirti che non amo disegnare i tribali, per il motivo che ti dicevo prima: non posso esprimermi al cento per cento poiché non c’è arte ma sono molto schematici. Però vado fiero di alcuni tribali che ho modificato direttamente sulla pelle, a qualcuno tatuato in precedenza, li ho allungati e adattati alla persona che li portava.
Quello che invece amo fare sono i tatuaggi grandi e colorati, dove posso sbizzarrirmi a dare forma, tridimensionalità, giocare con le tonalità e con le sfumature. Se poi mi fai tatuare un drago vado al settimo cielo.
Quello più strano?
Ho ricreato uno scenario horror dedicato ai vampiri, sulla schiena di un ragazzo. Al centro gli ho disegnato un grande pipistrello, e poi lateralmente il castello di Dracula su uno sfondo lugubre.
E c’è qualcosa che ti piacerebbe tatuare ma che ancora nessuno ti ha chiesto?
Sì, nonostante abbia fatto veramente di tutto, mai nessuno mi ha chiesto la geisha giapponese.
Assieme alla fenice è un personaggio che mi piace vedere sul corpo di una lei, perché la associo alla femminilità, alla sinuosità della donna… È molto sensuale.
Ora parlami del tuo drago. Come mai te lo sei fatto da solo? E perché hai scelto questo soggetto?
È il secondo che ho fatto. Ho voluto sperimentare direttamente su di me sia le sensazioni, il dolore che si provava, sia le tecniche che avevo acquisito. Un po’ l’ho fatto per sfida verso me stesso, un po’ perché mi erano arrivati dei colori particolari e li ho voluti subito collaudare. È vecchiotto ma non lo toglierei mai. Però lo modifico in continuazione, aggiungo delle sfumature di colore e dei dettagli, come lo sfondo e le lettere cinesi. Sono le iniziali dei miei due figli, per portarli sempre con me. Col lavoro che faccio sto poco a casa e questo è un modo per averli sulla pelle oltre che nel cuore. Come soggetto ho scelto il drago, perché la cultura cinese mi affascina tantissimo. Solo alle famiglie nobili era permesso tatuarsene uno, e in base al numero delle dita che aveva si riconosceva la classe sociale di appartenenza. Però io associo questa immagine fantastica più alla nobiltà d’animo che al potere: il drago si affianca all’uomo nella lotta contro il male, ma mentre l’uomo combatte per dominare su tutto, il drago lo fa con animo puro. È una figura perfetta ed è anche la mia ispirazione.

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