Saturday, April 20, 2024

Text_ Chiara Nocchetti Photo_ ICity_Google

Napoli è una città particolare, dove talvolta è necessario che la logica ceda il passo all’istinto, la ragione alla passione e la testa al cuore.

È una città che ha bisogno di Santi e Madonne, di protettori e di protetti.

È una città che chiede ai suoi figli venerazione, dedizione e amore.

Qualcuno una volta mi ha chiesto di spiegare le regole e i segreti che Napoli nasconde.

Capirla, ho risposto, non sembra a me possibile.

Napoli va sentita.

Come un’emozione o poco più.

Tra i tanti Santi che nel tempo l’hanno protetta, San Gennaro è quello a cui i napoletani sono più legati.

Della sua vita si sa poco, pochissimo, quel tanto che basta a far germogliare i frutti di un attaccamento profondo e viscerale nei figli di questa terra.

Fonti certe raccontano sia stato vescovo di Benevento proprio durante la terribile persecuzione di Diocleziano.

Si narra che, sulla strada per Pozzuoli, il vescovo Gennaro sia stato arrestato e condannato a morte per decapitazione e che Eusebia, una pia donna, abbia raccolto il suo sangue in due ampolle.

Sangue che, miracolosamente, si scioglie davanti agli occhi attoniti dei fedeli tre volte l’anno e si dice protegga la città da catastrofi e sciagure.

Napoli attende il miracolo con impazienza, come un amuleto di cui armarsi per farsi strada in un mondo doloroso e stanco.

Lo sanno tutti, nella mia terra, cosa accade quando il sangue sembra non sciogliersi.

Due date, tra tutte, fanno tremare le ginocchia ai napoletani.

Il 1944, anno di eruzione del Vesuvio, e il 1980, anno del terribile terremoto che colpì anche la città.

Due occasioni mancate, due pericoli spaventosi.

San Gennaro, ripetono spesso i napoletani, pensaci tu.

Dove non arriva l’uomo, dove la mia mano non può, pensaci tu.

Fa così il mio popolo, consapevole forse delle piccole miserie che caratterizzano l’animo umano.

Chi non conosce Napoli può talvolta definire certi comportamenti trasandati, poco attenti, irrispettosi.

Io, che in questa terra ci sono nata, scorgo nell’anima dei napoletani una tenera rassegnazione, quasi una consapevolezza, nel non prendersi troppo sul serio.

Come a dirsi che dopotutto, nella vita, talvolta conviene sussurrare a mezza voce: “San gennà, pensaci tu”.

E alleggerirsi così da un peso che sembra rallentare il passo.

Tra tutti i quartieri, gli angoli e gli anfratti della mia Napoli, il Rione Sanità è il luogo che al Santo è più legato.

In qualche modo, a San Gennaro, deve la sua rinascita.

Proprio attorno alla catacomba dove il Santo un tempo fu sepolto, ha avuto inizio, dieci anni fa, un percorso lento e tortuoso che ha restituito luce e vita ad un quartiere per anni martoriato e abbandonato.

Un gruppo di ragazzi ha deciso di ripartire dal sottosuolo, dalla meraviglia nascosta per restituire vita a ciò che a lungo a tutti era sembrato morto.

Partendo proprio dalle pietre dove un tempo le spoglie del Vescovo Gennaro hanno riposato, quattro ragazzi poco più che ventenni hanno formato una cooperativa sociale e l’hanno chiamata La Paranza.

Come a ricordare un gruppo, un insieme che al prossimo si apre ma che non rinuncia al suo nucleo.

La cooperativa negli anni è cresciuta e ha trasformato le Catacombe di San Gennaro nel centro pulsante del quartiere attirando ogni anno migliaia di turisti.

Un nuovo miracolo, ripetono spesso.

Tornare alla vita partendo dal buio, dal mistero, da ciò che è celato.

E con le Catacombe, con il flusso sempre maggiore di turisti che il sito archeologico di anno in anno attira, è lentamente rinato un quartiere che la città aveva dimenticato.

Un luogo fino a qualche anno fa conosciuto per lo spaccio di droga, per il fenomeno delle stese, per l’abbandono scolastico e la criminalità organizzata, è adesso terra fiorente di commercio, ristorazione, nascenti strutture alberghiere e turismo.

Centomila visitatori in un anno, più di trenta enti che sul territorio lavorano e hanno deciso di associarsi nella forma di una fondazione di comunità.

Fondazione San Gennaro, appunto.

È come se San Gennaro avesse ascoltato un grido e, paziente, avesse atteso il tempo propizio per ritornare ad illuminare ciò che il buio troppo a lungo aveva avvolto.

Sono passati 1714 anni dalla morte di un uomo di cui si sa poco, pochissimo.

Eppure i napoletani, ogni giorno, a lui si rivolgono con affetto, come ad un amico lontano.

Pensaci tu, gli dicono.

Ed è un modo come un altro, per me, di dire a noi stessi che se ci pensa lui, dopotutto, non siamo soli.

E così troviamo la forza di pensarci anche noi.

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