Sunday, April 14, 2024

Special – GIORGIO BUCHNER/17

n.02/2005

Photo: Archivio Buchner
Text:     Vladimiro Valerio

Quel ricercatore curioso
La passione per la cartografia antica ha fatto incontrare Vladimiro Valerio e G. Buchner, ma presto è cresciuta tra loro una forte intesa intellettuale e personale.

“La difficile traduzione dei testi manoscritti in gotico è frutto della pazienza e dell´acume di Giorgio Buchner, che sentitamente e affettuosamente ringrazio”. Così ricordavo, nel 1993, a me e a quanti leggessero quella nota, il contributo di Giorgio Buchner ad un campo di ricerca che fino ad allora non aveva frequentato. Egli era ben noto e citato nel mondo dell´archeologia e degli studi di Storia Antica ma era alquanto strano che il suo nome comparisse in un volume che trattava di storia della cartografia nel Mezzogiorno d´Italia. Non era la prima volta che mi trovavo a ricordare l´amico Giorgio e non sarebbe stata l´ultima. La nostra amicizia – perché ora a distanza di venticinque anni dal nostro primo incontro, così si può definire – ebbe inizio durante una visita alla sua casa di Ischia, salendo insieme per la scala lungo la quale erano esibite le immagini storiche dell´Isola: piante e vedute che ripercorrevano un itinerario nello spazio e nel tempo nella sua terra di adozione. In quelle carte, che partivano dal tardo Rinascimento, con il sud ancora rivolto verso l´alto, deformate dall´occhio del cartografo, a volte immaginate più che visitate, poi finalmente raddrizzate e perfettamente riconoscibili nei rilevamenti ottocenteschi, Giorgio certamente non poteva trovare nessuna prova di quei primi abitanti dell´isola le cui tombe andava scavando da decenni a S. Montano, ma ciò che lo incuriosiva erano le “tracce”, i segni della continuità e della sedimentazione che si mostravano attraverso la cartografia storica. Un toponimo, un anfratto costiero, un pendio, un acquedotto erano per lui i segnali di un avvenimento fisico o umano. Poteva sembrare un modo di traslare un interesse di tipo archeologico o geologico su un altro versante, un modo diverso di scavare nel passato di una terra tanto amata, e come tale anch´io lo avevo interpretato all´inizio, come un modo diverso di fare sempre il suo mestiere. Poi, col tempo, imparai che il suo mestiere non era quello di archeologo o di funzionario di una Soprintendenza: il suo mestiere era la manifestazione di una curiosità indefinita e indefinibile per tutto quanto avesse avuto vita e per ogni prodotto dell´intelletto umano. Ricordo le prime discussioni con Giorgio che riguardarono l´astronomia, quella parte applicativa della conoscenza degli astri che aveva relazione con il viaggio e con il mare; era il 1980 e stavo lavorando, per conto della Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta, al rilievo fotogrammetrico del globo celeste sorretto dal così detto Atlante Farnese, l´antica statua conservata nel Museo Archeologico di Napoli. Scoprii che oltre ad essere stimolato dalle questioni scientifiche relative alle misurazioni angolari ed alle coordinate ed al posizionamento degli astri in una mappa o su un globo, gli interessavano il disegno e la definizione degli asterismi, il loro significato ed il loro riconoscimento. D´altronde, l´idea che gli Euboici nel VIII secolo a. C. avessero intrapreso un viaggio per raggiungere il Tirreno lo aveva sempre affascinato così come la loro capacità di ripeterlo, di trovare la strada per mare guardando in alto, verso il cielo. In quell´occasione iniziai a rendermi conto dell´ampiezza delle sue conoscenze e della capacità che egli aveva di cercare notizie e informazioni in ogni disciplina e di visitare i campi altrui. Aveva sempre quel tono di sorpresa di chi si avvicina alle cose con modestia, con semplicità e scopre sempre nuovi orizzonti che lo portano a continuamente interrogarsi. Penso che non abbia mai smesso di sorprendersi e di sorprendere i suoi interlocutori. Conosceva ed era incuriosito dalla cartografia storica anche perché in un importante studio sul medico Giulio Jasolino, realizzato da suo padre Paolo, aveva anch´egli per la prima volta studiato una rara carta di Ischia, incisa da Mario Cartaro nel 1586, la prima rappresentazione a scala topografica di un territorio meridionale, e proprio da quella esperienza nacque anche la collezione delle mappe storiche dell´isola. Nel ricordare i suoi interessi per la cartografia e le sue continue sollecitazioni durante i nostri dialoghi su questi temi, mi vengono in mente tanti altri momenti di discussione; ormai un decennio fa ci trovammo spesso a chiacchierare sulla geometria proiettiva nel mondo antico; anche in questo campo si scherniva dicendo di non sapere nulla di matematica e di geometria, ma poi mi aiutava a capire che esistevano altre strade che non passavano necessariamente per la matematica intesa come “numero” o come algoritmo, per affrontare questioni scientifiche. Una era, ad esempio, la capacità di entrare nella mentalità di altre (passate) civiltà, che lui aveva quasi innata. Per molti degli amici comuni, così come per la sua famiglia, i nostri incontri erano divagazioni sulle mappe, viaggi durante i quali io navigavo nel mio mondo di studi e di passione mentre lui dimenticava tutte le altre sue incombenze e sembrava rasserenarsi come se avesse trovato una terra tranquilla su cui posarsi o un picco di montagna dal quale guardare con serenità. E questo fu per lui un approdo sicuro durante i concitati anni della pubblicazione di Pithekoussai I. Mi accorgo solo ora, scrivendo, che i temi di cui discutevamo avevano sempre un filo comune, l´immagine, la rappresentazione in tutti i suoi aspetti, anche quelli meccanici della riproduzione; ricordo una sua “lezione” sulle cave di Solnhofen: per lui era il ritorno ad un vecchio amore, la geologia, ma le pietre di quelle cave erano anche state all´origine di un nuovo metodo di stampa, la litografia; ancora una volta, in un tema lontano dai suoi interessi tutto si teneva: geologia, cartografia, immagini, stampe, tecnica. Mi sono sempre chiesto come facesse nel chiuso della sua villa sulla collina di S. Alessandro, in un´epoca ancora lontana da Internet e dalle sue facilitazioni, ad essere così aggiornato, informato, e a rispondere anche alle domande più strambe: chi era e cosa faceva la Margravina di Baden-Durlach nel 1776? Un´intera nota di un mio lavoro è stata redatta sulla scorta delle sue indicazioni su questo personaggio. Andare ad Ischia a trovarlo mi suscitava grandi emozioni; il dover prendere una nave e l´allontanarsi dalla costa era già un piccolo viaggio avventuroso – basta anche un breve tratto di mare per vivere quella sensazione, poi, di avventure e di naufragi se ne erano visti tanti su quei lidi ed anche di questo si parlava con Giorgio, come di quella nave che perse il suo carico di marmi nel canale di Procida nel 1830 – ed al termine di esso trovare il piacere di una compagnia intelligente e premurosa.

Vladimiro Valerio è Docente al Dipartimento di Storia della Architettura, Università IUAV di Venezia