Friday, April 19, 2024

Special – GIORGIO BUCHNER/11

n.02/2005

Photo:  Archivio Buchner
Text:     Bruno D´Agostino

Un alieno in un´Italia corriva
Bruno D´Agostino, studioso e scavatore, punto di riferimento dell´archeologia napoletana, ebbe con Buchner un rapporto dialettico che significò molto per entrambi.

Quando mi è stato chiesto di scrivere un ricordo di Giorgio Buchner, mi sono chiesto: a che titolo? Lo conoscevo da una vita, ma non potevo dire di conoscerlo, c´era sempre un impalpabile diaframma tra noi: credo che in fondo mi giudicasse troppo inserito nel “mondo”, e disposto a qualche concessione alle mode culturali. Credo che questo renda bene l´immagine di un uomo apparentemente timido e schivo, ma dotato di regole di ferro, e di un culto illimitato per la verità: quella verità che sta nei fatti, e richiede solo di essere osservata con scrupolo ed attenzione, senza mettervi nulla di personale. Solo una volta ho avuto la ventura di ascoltare da lui un racconto della sua formazione, che iniziava nella Mitteleuropa del primo trentennio dello scorso secolo, del suo apprendistato con maestri ormai entrati da sempre nella storia della scienza dell´antichità. Volevo chiedergli di poter prendere appunti, ma sarebbe sembrato ai suoi occhi un atteggiamento indiscreto, o quasi la voglia di fabbricare un “coccodrillo” a futura memoria: alla sola idea lo vidi immalinconirsi e gettai la spugna… Eppure, furono belle mattinate quelle passate con lui a Villa Arbusto, mentre io schedavo i materiali dalla “stipe dei cavalli”, che generosamente mi aveva permesso di studiare, e lui mi osservava con curiosità, per lo più senza parlare. Alla fine gli mandai il mio manoscritto, che nelle conclusioni gli sembrò forse troppo “alla moda”. Mi scrisse con una certa ritrosia di non essere del tutto d´accordo, e forse allora veramente lo conquistai: gli proposi di scrivere anche lui una diversa conclusione, più aderente – ai suoi occhi – alla sana empeiria: forse si rese conto allora che anche io cercavo la verità, anche se in un modo diverso dal suo. E così fu che il lungo articolo apparve – quasi fosse un giallo – con due diversi finali, il suo e il mio a confronto. Se non fosse stato animato da una saldissima preparazione filologica, un animo forte e puntiglioso, appena nascosto dalla sua aria timida e garbata, non sarebbe riuscito a fare quello che ha fatto, tutto da solo, ignorato dall´amministrazione dei beni culturali, che gli rimproverava di starsene comodamente a Ischia, a attendere alle sue ricerche, sottraendosi alle defatigandi incombenze della burocrazia. La sua ricerca di Pithekoussai, il più antico insediamento greco in Occidente, iniziò prima del 1936, anno della mia nascita, come dimostra il suo primo articolo sull´argomento. Da solo trovò i soldi per gli scavi, ricorrendo all´immenso credito di cui godeva all´estero, mentre in patria era appena tollerato. Da solo riportò alla luce l´immensa necropoli databile tra l´VIII e il VII sec. a.C., dimostrando che, proprio nell´isola, l´incontro di mercanti e artigiani greci, fenici ed etruschi aveva dato vita a una nuova cultura, facendo conoscere al mondo etrusco ed Italico le civiltà dell´Oriente, la scrittura, i miti e i riti, le immagini, i poemi di Omero. I risultati delle sue ricerche hanno cambiato la nostra percezione circa gli inizi della cultura occidentale: attraverso lo scavo condotto con cura quasi maniacale, l´attenta registrazione di ogni sia pur minimo dato, ma anche la capacità di passare dall´analisi alla sintesi, e di spaziare su un orizzonte che andava dal Vicino Oriente all´Egeo al Tirreno. Sembrava che si limitasse a registrare ciò che restituiva la terra dell´isola, ma in effetti costruiva la storia: lo faceva senza averne l´aria, perché la sua storia nasceva dall´osservazione dei fatti. Nell´archeologia italiana degli scavi intesi come cantieri scuola, utili a far spalare la terra a chi non aveva né arte né parte, fu dunque in certo senso un alieno. I suoi punti di riferimento erano Umberto Zanotti Bianco e Paola Zancani Montuoro, i due archeologi che, quando Zanotti era stato mandato al confino di polizia dal governo fascista, riportarono alla luce il santuario di Hera alla Foce del Sele: alieni anche loro in una Italia corriva. Verso donna Paola egli nutriva – credo – il rispetto che si ha verso una persona magari più autorevole ma della tua stessa specie, per natura minoritaria. Forse per questo motivo, quando nel 1938 o nel 1939 (anche lui quando me ne parlò non era più sicuro della data) fu mandato a fare uno storico saggio sulla terrazza del tempio di Apollo, sull´acropoli di Cuma, oltre alla relazione al Soprintendente dell´epoca (naturalmente perduta insieme alle piante e alle sezioni di scavo) le inviò una relazione “privata” in una lettera datata “sull´acropoli di Cuma, mercoledì”, nella quale salvava la memoria del lavoro fatto. In modo scherzoso ma deferente concludeva la lettera: “Se potessi, prenderei subito il treno per ricevere i consigli della mia “bambinaia”!”. Fu quella documentazione “privata” che ci permise, mezzo secolo più tardi, di pubblicare lo scavo! Se si escludono queste due figure, e quella – altrettanto luminosa – di Luigi Bernabò Brea, con il quale scavò nelle Isole Eolie, i suoi interlocutori erano in Germania o in Gran Bretagna: fu quindi naturale che invitasse David Ridgway, già allievo della Scuola Britannica di Roma e allora professore ad Edimburgo, a collaborare con lui alla monumentale pubblicazione di Pithekoussai, per la quale ebbe a penare dieci anni, facendo penare a sua volta con la sua esigente meticolosità e il suo rigore l´Accademia Nazionale dei Lincei. Quando David ed io, nel 1994, curammo il volume di scritti dei più illustri studiosi italiani e stranieri dedicati a lui per il suo ottantesimo compleanno (Apoikia), la cosa lo sorprese ma lo gratificò anche, raro tributo offerto dalla cultura ufficiale italiana a uno studioso che aveva aperto, con il suo lavoro di certosino, una pagina ignota della storia più antica di Occidente.

Bruno D´Agostino è Professore di Etruscologia e antichità italiche all´IUO di Napoli