Tuesday, April 23, 2024

Text_ Marco Cortese

Stefania ti sorride e ti conquista dal primo istante con una bellissima energia che ti fa entrare subito in sintonia con lei e tutto il suo mondo. Entusiasta della vita, che filtra attraverso il suo sguardo attento e globale, restituendola contemporaneamente, in modo leggero e forte. Forza e leggerezza sono due componenti imprescindibili della sua personalità. Che sia un reportage in un manicomio afgano o in giro per i vicoli di Napoli, lei riesce sempre a sorprenderti ed a farti fermare a riflettere, cosa importante, specialmente in un momento come il nostro, dove è imperativo vivere accelerati. Così come accade con l’installazione fotografica, attualmente collocata nella città di Napoli, al Rione Sanità, intitolata INSANITÀ. Con questo gioco di parole mescola genio e sregolatezza, luoghi, culture, anima e passioni. Come un moderno Caravaggio, sceglie come suoi soggetti, persone del popolo, volutamente non codificati, in situazioni estreme, ridandogli forza e dignità e ricollocandoli così nella società con un ruolo da protagonisti. Ecco quindi che l’attenzione dell’osservatore è catturata e condotta su tematiche lontane dal quotidiano. La mente ha così modo, finalmente, di fermarsi un istante, prima di riprendere la sua corsa impazzita, ad osservare e riflettere. In questo modo, l’opera dell’artista si compie. Sempre in giro per il mondo. New York, dove ha vissuto per venticinque anni (1991-2016), ottenendo la Green Card come “alien of extraordinary ability” per i suoi successi conseguiti nel campo della fotografia, ma anche Iran, Afghanistan, Pakistan, Bolivia, Sudan, Mongolia, Oman, solo per citarne alcuni. I suoi frequenti viaggi intercontinentali narrano con immagini frammenti di storie poco raccontate. Ed è proprio nel deserto dell’Oman, Rub al Khali, conosciuto anche con il nome di Empty Quarter, che realizza la serie di Still Life “Stazione Terminale” dove ritrae un’area dell’Empty Quarter, dove i dromedari terminali vengono abbandonati ai loro destini. Con un’operazione simile a quella dei ritratti del manicomio afgano la “stazione terminale” è riambientata nei pressi del cimitero delle Fontanelle in Rione Sanità per diventare Fontanelle Terminal. Né pali né alberi nel deserto: una corda lega due zampe come a inchiodare l’animale nella sua ultima destinazione per evitare che scappi finendo inamovibile, su una delle rare piste per carovane, vie la cui efficienza è fondamentale all’economia beduina. La mummificazione naturale fornita dal deserto sembra trasformare la pelle degli animali in un sudario, come a velare quel corpo deturpato dalla morte, un velo per onorare la trascorsa vita. Sabbia e cammelli sono stati creati dello stesso colore e questa unità raggiunge il climax in queste sepolture naturali che si offrono come istallazioni in mutazione ed istallazione continua. Laddove il tempo e la natura hanno scolpito i corpi fino alle ossa, queste sono bianche e la loro visione ha l’effetto di liberare dalla tensione, diminuendo il nostro grado di empatia. Il “quartiere vuoto” qui diventa un regno di assoluta integrità. La sfericità di due sfondi realizzata utilizzando un obiettivo fish-eye suggerisce che al di là della materia e oltre il nostro globo, orbitano infiniti regni di vita. In America espone in numerosi art-fair come Governors Island Art Fair (2008, 2009 e 2011), esibisce personali tra le quali “Breaking New Ground: Coney Island” al Rockefeller Center (2005), “Holy land: Palestine” at Barnes & Noble of New York in Union Square (1996); “Panni stesi” una collettiva alla Drexel University di Philadelphia (2016), al Sideshow Nation IV: Through the Rabbit Hole (2016). Partecipa a collettive internazionali come “Messages from Tahrir” alla Cairo University (2011) e recentemente espone ai Magazzini del Sale di Cervia (RA) alla mostra collettiva sullo stato dell’arte contemporanea in Italia, curata da Vittorio Sgarbi (2019).

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