Thursday, April 18, 2024

Tradition- LA FESTA DI SAN VITO

33/2012

Photo: Romolo Tavani
Text: Silvia Buchner

 

La statua “cammina” in mezzo alla folla, attraversa i vicoli e le piazze di Forio sotto un cielo spettacolarmente azzurro. Le sue gambe sono nove uomini – durante i diversi chilometri attraversati dalla processione, si alterneranno vari gruppi – che portano appoggiate sulle spalle le lunghe stanghe del baldacchino. Pesa circa 2 quintali e mezzo la bellissima immagine di S. Vito: in argento fuso e rame, disegnata dallo scultore Giuseppe Sanmartino (sua la celebre statua del Cristo Velato, conservata nella cappella di S. Severo a Napoli) e realizzata – ci impiegarono un anno – dagli orafi Giuseppe e Gennaro Del Giudice, rappresenta un adolescente vestito in abiti romani (calzari, tunica, manto sulle spalle), sapientemente lavorati a bulino nel metallo per rendere il tessuto ricamato. In mano tre simboli: una palma – che evoca il martirio – la Croce e un grappolo d’uva, realizzato in ogni dettaglio; accanto, siedono accucciati un cane ed un leone. Sono oltre 200 anni che il prezioso simulacro – solitamente non visibile essendo ben custodito nella sacrestia – compie il percorso rituale, che alterna ogni anno itinerari diversi, per poter arrivare in tutte le vie, gli slarghi, passare sotto tutte le case, essere contemplato da tutti i foriani, e non solo da loro. La statua fu colata e poi lavorata nel 1786-7, dopo essere stata commissionata agli artisti-artigiani napoletani dal popolo devoto, e si racconta che per raggiungere la somma necessaria il Sindaco dell’epoca abbia imposto una tassa sulle caraffe di vino vendute nelle osterie. Tuttavia, la tradizione della processione di S. Vito è documentata a partire almeno dal 1662 e il culto è ancora più antico, infatti la prima cappella a lui dedicata sorgeva sulla spiaggia di Citara, non distante, quindi, dalla collina su cui è costruita l’attuale chiesa. Siamo pur sempre a metà giugno, il sole inizia a scottare e sul sagrato della Basilica Pontificia e Chiesa Madre di Forio è un continuo sciamare di tonache nere, prelati con i paramenti sacri della festa, piccoli comunicandi con indosso il saio bianco unisex che ha sostituito gli abiti da Comunione che trasformavano anzitempo le femminucce in spose e i maschietti in piccoli ometti con perfetti vestiti da cerimonia. E poi il popolo di Forio, anziani, donne, ragazzini, in verità tanti in shorts e canottiera (si ha la sensazione che il “vestito della festa”, da cui fino a un po’ di tempo fa non si poteva prescindere, non sia più un’usanza così sentita). E mentre la frescura delle navate si riempie dei suoni della Messa cantata, fuori il vigile urbano deve conciliare le più prosaiche esigenze di parcheggio dei fedeli, abituati ormai ad arrivare con la macchina ovunque. S. Vito li accoglie già dalla facciata, dove troneggia la sua immagine in mattonelle dipinte: ma sono tante le cappelline votive sparse per il paese dedicate dalla religiosità popolare a Vito, ‘u guaglion’, come lo chiama il parroco affettuosamente, le si scoprono ai cantoni delle strade di campagna come a coronamento dei portoni del centro storico. Devozione immensa che si coglie anche in tutto l’edificio sacro, pieno di dediche sul cancello, sui banchi, sugli altari, sulle immagini sacre. Finalmente, dopo la Messa, S. Vito va fra la sua gente, trasportato in un lungo corteo, forse un po’ caotico ma dove i simboli a volerli leggere ci sono tutti. Un tempo, in onore del Patrono uscivano dalle loro chiese anche gli altri Santi – questo paese conta alcune fra le più belle espressioni dell’arte religiosa ischitana, dal Soccorso alla cappella di Visitapoveri al chiostro di S. Francesco: così S. Luigi, S. Gaetano, San Michele, San Francesco e S. Sebastiano accompagnavano il percorso del Protettore. Oggi che quest’usanza è stata abbandonata, il corteo viene aperto dagli stendardi dell’Arciconfraternita dei Visitapoveri e di S. Carlo al Cierco, cui segue – non a caso – quello della Federazione dei Coltivatori Diretti, infatti il legame fra S. Vito e i contadini di Forio è particolarmente importante, come vedremo e non c’è famiglia in questo paese adagiato sul mare, ma che per secoli ha vissuto solo della sua terra, nella quale ad almeno un figlio maschio non venga imposto il nome di “Vito”. Seguono il Sindaco con la sua fascia, i vigili urbani con la divisa delle occasioni importanti, le delegazioni dei Carabinieri, della Capitaneria di Porto, della Protezione Civile… Nel corteo dei religiosi spicca in abito rosso e cotta ricamata bianca un sacerdote che regge la reliquia con un pezzetto del corpo del Santo: rituale suggestivo quanto inverosimile, quello delle reliquie, che moltiplica i frammenti da offrire alla devozione dei fedeli, ma il fascino guardando al di là del piccolo vetro un po’ opaco è intatto. Le soste nel dedalo dei vicoli che costituiscono il tessuto urbano sono scandite dalla voce metallica dell’altoparlante, cui fanno eco i fedeli che ripetono con precisione litanie e canti: dai balconi e dalle finestre vassoi carichi di petali di fiori vengono lanciati sulla statua, finché da uno dei tipici portoncini foriani si affaccia una giovane mamma, in braccio un bimbo piccolo, due più grandetti reggono una busta colma di petali di rose, li lanciano fra gridolini di divertimento verso la processione. Una scena consueta, se non fosse che gli occhi allungati dei bimbi e della loro mamma dicono inequivocabilmente la loro origine orientale, probabilmente sono cinesi. Un’osmosi culturale pacifica che racconta come i gruppi umani per quanto facciano, prima o poi, non possono evitare di conoscersi, mescolarsi, scambiarsi emozioni. Guardiamolo bene questo S. Vito, l’argento fa brillare il volto giovane e fiero sotto la luce e se gli attributi del cane e del leone sono tradizionalmente associati alla sua figura, il grappolo d’uva è una connotazione esclusiva della terra d’Ischia. Vediamo i primi due: il cane rievoca il suo compito di protettore contro la rabbia e contro malattie di origine neurologica come quella che popolarmente si chiama “Ballo di S. Vito”, perché avrebbe guarito dall’epilessia il figlio dell’imperatore Diocleziano, che peraltro fu uno dei suoi persecutori. Tuttavia, è assai più suggestiva l’interpretazione che vede nell’animale la personificazione dell’estate incombente, infatti in questa stagione la costellazione del Cane è particolarmente brillante e la stessa parola “canicola”, per indicare la calura più asfissiante, deriva dal momento astronomico che segna l’ingresso nell’estate piena. E fin dall’antichità pagana questo era percepito come un passaggio difficile, una stagione che se durava troppo a lungo comprometteva i raccolti, la vita del bestiame, addirittura l’equilibrio degli uomini. Il bisogno di proteggersi dalla potenza della natura quando l’uomo era totalmente in balia di essa, in epoca cristiana ha spinto ad affidarsi a Vito, il Santo la cui festa ricorreva proprio in giugno, accanto al quale il cane è rappresentato docile e remissivo. Il leone ricorda probabilmente uno dei martiri che egli subì, infatti fu gettato in pasto alle belve, ma esse rimasero mansuete e lo risparmiarono. Il grappolo d’uva, ben in vista nella mano sinistra della statua, invece, simboleggia il legame speciale che questo Santo ha con Forio. Infatti, quando, a metà dell’Ottocento una gravissima invasione di funghi mise a serio rischio le distese di vigneto di tutt’Italia, e anche l’isola d’Ischia fu colpita, la salvezza giunse dalla Sicilia, nelle persone di Gaetano, Giuseppe e Antonio Sanfilippo, originari di Lipari, che portarono una barca carica di zolfo. Spargendolo al momento giusto sulle viti e sui grappoli in crescita questi vengono preservati da una malattia che significa sicura distruzione per le piante. Se solo proviamo a immaginare che Ischia, ed in particolare proprio le campagne di Forio, erano interamente coltivate a uva, e la vendita del vino ricavato ha rappresentato per secoli la principale risorsa per migliaia di famiglie, è facile capire la disperazione della gente. La convinzione popolare vuole che la barca carica di zolfo fu fermata davanti alle coste di Forio dal patrono Vito, e forse non è un caso che il Santo fosse originario proprio della Sicilia: egli avrebbe pagato il provvidenziale rimedio con un anello con cui era adornata la sua statua. Una bella usanza è collegata a questa storia a lieto fine: nel giorno di S. Vito, alcune famiglie di vignaioli foriani tagliano alcuni grappoli ancora verdi, ma ben irrorati di zolfo, e li recano in dono al Santo, a reiterare la riconoscenza per il pericolo scampato. Il perpetuarsi di questo rituale, anche oggi che l’agricoltura ha un ruolo sempre più marginale nell’economia dell’isola, ci dice che, tuttavia, il legame con la terra è vivo, e dà alla festa di S. Vito un significato che va oltre la devozione religiosa, per ribadire un vincolo forte e sentito fra la gente, le sue origini e ciò che le incarna.

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