Friday, April 26, 2024

33/2012

Photo: Emanuela Migliaccio
Text: Lucia Elena Vuoso

 

photoretouching_Romolo Tavani Per comunicare con forza non è necessario urlare. Basta creare un segno che sappia parlare, un’immagine, muta, che dia più informazioni di quante ce ne siano in un libro intero, un racconto fermo, che si animi negli occhi di chi lo legge. Basta un dito davanti alla bocca, immortalato in un’istantanea, per far capire quanto forte sia il rumore del silenzio. Soprattutto quello di una donna. Soprattutto quello di Emanuela Migliaccio. Fotografa per passione, autodidatta che rifugge le tecniche convenzionali, pur conoscendole, allegra e solare ma con un’interiorità caotica e tormentata. Precisa e meticolosa, non scatta per catturare un attimo che c’è, un gesto inconscio o un particolare nascosto: ogni foto è un sogno, una visione, un’illusione della sua mente ricreata nei minimi dettagli, dal set, agli abiti – di solito drappi e veli – , alla modella, con cui instaura un profondo rapporto empatico, per capirla, per capire se stessa. Ciascuno dei lavori di Emanuela, infatti, rappresenta un pezzo per comporre il puzzle della sua personalità e dire come vorrebbe essere vista dagli altri: per questo motivo le sue figure femminili indossano sempre qualcosa che le appartiene: un gioiello, un accessorio, un vestito. E’ un metodo di lavoro particolare quello che si è autoimposta, per sfidare le proprie capacità foto dopo foto: lavorare senza flash, esclusivamente con la luce naturale, cercando di fare propria la luminosità nell’ora giusta e usare solo obiettivi fissi, senza possibilità di zoomare o compiere qualsiasi movimento di macchina, girando lei attorno alla modella. E, infine, il tratto distintivo di uno stile inconfondibile: un bianco e nero penetrante, ottenuto tramite un particolare settaggio della macchina fotografica – la chiusura dei neri -, che rispecchia appieno la sua visione della vita, senza vie di mezzo e senza sfumature. In questo modo la pelle delle donne diventa candida, quasi eterea, a voler simboleggiare la purezza che c’è in ognuna di esse, mamme, sorelle, amiche, regine della casa, angeli. Ed anche nei nudi che Emanuela ritrae c’è il racconto della bellezza femminile, senza trucchi, senza ritocchi, armonia esteriore ed interiore: ogni ruga rappresenta un avvenimento triste della vita, messo lì per ricordare la forza tirata fuori per superare gli ostacoli, ogni sguardo limpido e fiero, una gioia, ogni sorriso accennato, un desiderio. Personalità semplici, che incontriamo ogni giorno, dimenticandoci di ascoltare i loro silenzi, vengono fuori prepotenti dalle foto di Emanuela: “Sorelle”, ritratto di due volti, uno di profilo e l’altro frontale, che indica l’unione sanguigna e il profondo affetto tra membri della stessa famiglia, e “Amiche”, in cui una ragazza indiana seduta su un letto di foglie autunnali, cinge le spalle della sua confidente indonesiana, simboleggiando la bellezza del sentimento che combatte contro un mondo appassito, fatto di stagioni che passano. E ancora il dramma della depressione comune a molte donne che, però, può essere sconfitto, è rappresentato da una figura di spalle circondata dal buio, che cammina verso una luce fortissima. Spiritualità, dualità ed innocenza emergono da molti ritratti di Emanuela: la ragazza raccolta in preghiera, con le mani giunte in un luogo diroccato, a simboleggiare che Dio è ovunque e dentro ognuno di noi e le due figure femminili che si abbracciano, di cui una però indossa la maschera ad indicare la falsità delle persone di cui spesso ci fidiamo maggiormente. Anche la purezza è ampiamente trattata dalla fantasiosa ed allo stesso tempo concreta ritrattista isolana: la bimba seduta sulla sedia con le gambe incrociate che guarda in alto, immaginando come sarà il proprio futuro e la rivisitazione della mela, in un personaggio a metà tra Biancaneve ed una moderna Eva, che morde il frutto consapevole di non peccare. Un’ottima tecnica fotografica a servizio di un’indole espressiva complessa: poesia delicata, emozione sottile, mai priva di una dolce drammaticità che aggiunge intensità ai racconti che Emanuela fa, senza parlare, senza scrivere, senza rumore, semplicemente con uno scatto.

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