Friday, April 26, 2024

Life- LOURDES, 150 ANNI DOPO

20/2008

Text: Emma Santo

 

11 febbraio 1858.  Bernadette Soubirous è poco più che una bambina, ha quattordici anni, ne dimostra undici, sa a malapena leggere e scrivere ma la vita le ha già insegnato cos’è la fame, la povertà, la malattia. Insieme alla sorella e ad un’amica, ha avuto il permesso di andare a raccogliere legna da ardere, ma a causa della sua fragilità fisica resta indietro, non osa mettere i piedi nell’acqua gelida del fiume Gave, teme che la sua tosse peggiori. Si ferma davanti alla grotta di Massabielle, poco fuori Lourdes, alle falde dei Pirenei. Un rumore forte, simile ad un tuono, cattura la sua attenzione. Solleva lo sguardo ma tutto è immobile. Di nuovo lo stesso rumore, di nuovo si guarda intorno, scruta ancora l’interno della grotta. E scorge una “giovane bella Signora” vestita di bianco, con una fascia celeste che le cinge la vita, una rosa gialla su ciascun piede e tra le mani un Rosario. Torna il giorno dopo e quello successivo e Lei le domanderà di andare a trovarla ancora, per quindici volte. “Ha scelto me perché sono la più ignorante”, dirà a chi non le crede Bernadette, dopo ben 18 apparizioni che la faranno proclamare Santa.
11 febbraio 2008. Il santuario più famoso del mondo compie 150 anni e Lourdes non smette di ‘dare i numeri’: 700 milioni di pellegrini, 80mila infermi e altrettanti volontari, 7mila le guarigioni ‘immuni’ da spiegazioni scientifiche, 67mila i miracoli riconosciuti dalla Chiesa, per non parlare dei 5 milioni e mezzo di italiani incollati davanti allo speciale di “Porta a Porta” (e chi scommetteva sul Grande Fratello grida già al miracolo ‘mediatico’). Ci si va perché spinti dalla fede, dalla voglia di aiutare, da qualche parente insistente, dal desiderio di trovare qualcosa che possa alleviare le sofferenze o anche soltanto di capire cosa c’è a Lourdes che non si può trovare altrove, in altri santuari. E la spiegazione ce l’hai quando arrivi, “quando il verde inonda i tuoi occhi e milioni di persone tacciono davanti alla grotta, come se nessuno sentisse più il bisogno di parlare. Si ascolta in silenzio quello che il silenzio ha da dire”. Questo, ciò che tramanda chi è stato lì almeno una volta.
“Lourdes non pretende nulla da te”, racconta Lucia Manzoni, “non pretende che tu creda. Sono stata lì undici volte, dapprima con mia madre e mio padre – a spingerci fu mia nonna materna, che vi si è recata per oltre 25 anni di seguito – poi come “dama”, ovvero come volontaria. Ho incontrato tantissime persone, e tra loro c’era chi professava altre religioni, chi era persino atea. Ciò che ci accomunava era il voler provare questa esperienza salvifica, perché chiunque vada con il pretesto di aiutare viene aiutato e viceversa. Negli ultimi tre anni (dall’ultima volta che ci sono andata ne sono passati sedici) ho fatto richiesta di servizio alle piscine. La prima volta ti insegnano i movimenti corretti che devi fare quando spogli e rivesti i malati ed i pellegrini che poi verranno immersi nelle vasche. E’ una sorta di danza, ciascuno di noi deve essere coordinato, anche affinché tu stesso non ti affatichi. Ed è in quell’anticamera che vieni davvero a contatto con la sofferenza. Vedere la mortificazione di tanti corpi malati è doloroso, ma è anche un’esperienza umana senza pari perché incontri persone che hanno una dignità che noi che possediamo tutto non abbiamo. Una volta ho assistito una donna martoriata dalle piaghe, che tuttavia aveva una gioia nel volto, una serenità che non riuscivo a spiegarmi e che ancora oggi non riesco a dimenticare”.
Lucia è stata anche in altri santuari, a Loreto, a Medjugorje. Ma è a Lourdes che tornerebbe. “Perché è un’isola nella città. E’ una realtà che vive fuori dalla Francia, fuori dalla stessa città di Lourdes, fuori da tutto ciò che concerne il business, che oltre quei cancelli non entra. Un luogo incontaminato, dove sembra che il tempo non sia mai trascorso. Un concentrato di razze, culture, lingue diverse. Un posto dove si respira l’universalità della Chiesa”.
Nel 1903 un ragazzo di 23 anni, Giovanni Battista Tomassi, figlio dell’amministratore dei principi Barberini, affetto da una forma artitrica irreversibile che lo costringe alla carrozzella, sfida il sacerdote che lo invita ad andare a Lourdes, portandosi dietro una pistola. L’intenzione è quella di suicidarsi ai piedi della Madonna qualora non ottenga la guarigione. Una volta giunto davanti alla grotta, nell’assistere alla condivisione tra i volontari e i sofferenti, movente di una pace che azzittisce il dolore, depone la sua voglia di farla finita e quando torna a casa fonda un’associazione, l’UNITALSI che oggi conta oltre centomila aderenti, uomini, donne, bambini, sani, ammalati, disabili, tutti. Senza distinzione di età, di posizione economica o sociale. Tutti una divisa unica, “la gioia della condivisione del servizio reciproco”. “Il pellegrinaggio comincia sul treno”, spiega Anna Maria Guerra, presidente dell’UNITALSI sottosezione di Ischia. “Affittiamo dei treni speciali da Trenitalia, in cui si trovano il vagone cappella, vagoni attrezzati per le esigenze degli infermi assistiti da medici e volontari e la radio che trasmette la Messa in ogni scompartimento. Il viaggio dura 24 ore, durante le quali si prega, si pranza insieme, ci si racconta, si condividono le proprie esperienze, insomma ‘si fa’ famiglia. Quando arriviamo a destinazione ci conosciamo già gli uni con gli altri. Non ci si lamenta mai per la stanchezza di un tragitto così lungo, perché nessuno di noi l’avverte”. Ha mai incontrato un ‘miracolato’? “La prima volta che vi andai, 17 anni fa. Incontrammo Elisa Aloi, che ci raccontò di come nel ’58 guarì da una forma gravissima di tubercolosi ossea che l’aveva costretta per 11 anni ad un’ingessatura che le immobilizzava tutto il corpo. Aveva 23 anni, orfana di entrambi i genitori, era la terza volta che si recava a Lourdes, nonostante le sue condizioni si fossero così aggravate che il medico gliel’aveva caldamente sconsigliato. Se era destinata a morire, disse, a questo punto preferiva che fosse lì. Il suo ultimo giorno di permanenza volle andare alle piscine. Ovviamente non poteva immergersi, così la poggiarono con la barella sulla vasca. Sentì un fremito, come se le sue ossa stessero rinascendo, credeva che fossero i suoi ultimi istanti di vita ma si sbagliava. Cominciò a gridare che si muoveva. La portarono nel Bureau Medical e capirono che qualcosa di sconvolgente era appena successo. Le fistole che coprivano tutto il suo corpo si stavano chiudendo spontaneamente. Quando Elisa tornò a Messina era completamente guarita. Il medico che l’aveva in cura non uscì per giorni di casa, scettico com’era non riusciva a darsi una spiegazione che andasse d’accordo con la logica. Quella definita come ‘guarigione inspiegabile’ fu riconosciuta come miracolo solo nel ’67. Oggi Elisa ha 72 anni e quattro figli”.
Quale il significato delle immersioni nelle piscine? “E’ come un battesimo, una purificazione” spiega un’altra devota, Maria Scannapieco. “Ti immergi nell’acqua gelida avvolto in un telo per pochi istanti e quando ne esci hai il fuoco dentro. Poi ti rivestono senza asciugarti, non ce n’è bisogno, asciutto lo sei già. Lì non esiste più il sano e l’ammalato, siamo un corpo solo”. La ‘febbre di Lourdes’, così la signora Maria definisce quell’emozione incontrollabile che accomuna tante persone provenienti da ogni parte del mondo. “Nel ’95, dopo la nascita del mio terzo bambino, ho perso la vista a causa di un glaucoma irreversibile. Prima di allora avevo tutto quello che una donna potesse desiderare, un marito, una casa, i figli, ma ero sempre insoddisfatta, perennemente alla ricerca di qualcosa. Poi a Lourdes ho ricevuto una grazia più preziosa della salute fisica, ho trovato la pace del cuore, la serenità che chiedevo. Tutti i dubbi che mi portavo dentro, i perché legati alla sofferenza di tante persone innocenti sono svaniti nel momento in cui sono riuscita ad entrare in comunione con chi soffriva. Diventiamo come delle clessidre, ci svuotiamo da una parte, donandoci completamente, e ci riempiamo dall’altra”. Racconta di alcuni membri di questa grande famiglia, Vincenza entrata nella comunità dei ‘foulards bianchi’ (ndr. un’organizzazione internazionale cattolica fondata a Lourdes nel 1926 dagli scout) a soli sette anni, Rosaria, costretta su una sedia a rotelle, che si innamora del suo barelliere, con cui si sposa ed esaudisce il desiderio più grande: diventare madre. L’unica grazia che nei suoi viaggi a Lourdes aveva sempre chiesto. “La cosa più bella” conclude Maria “è quando il malato si mette al servizio del malato. Quest’anno, ad esempio, mi sono ritrovata a portare in giro un’amica sulla carrozzella. Lei era i miei occhi, io le sue gambe”.
Quando si torna a casa la nostalgia è tanta, “ti senti rigenerato, come se stessi rientrando da una vacanza”. Chi vi è stato consiglia di andarci almeno una volta, che tu sia credente o meno non conta. E una cosa è certa. Solo varcando la soglia di quel mondo, si può capire perché la gente si aggrappa con una tenacia perseverante alla parola “straordinario”.