Thursday, May 2, 2024

14/2007

Photo: Redazione Ischiacity
Text: Anna Di Corcia

 

Antonio Macrì, pittore isolano, dall’età di vent’anni si dedica con passione alla pittura ad olio che, come ci ha raccontato, è la sua maniera personalissima di investire la parte migliore del suo tempo, diviso tra la famiglia e la conduzione di una piccola pensione che si affaccia sul Porto. Per Antonio Macrì la pittura apre una finestra sull’intimità dell’anima, è la ricerca di una perfezione formale ispirata in una prima fase all’impressionismo con l’apposizione diretta di singole pennellate di colore puro, giustapposte sulla preparazione bianca della tela e progressivamente rivolta verso forme di purismo pittorico dalla vibrante ricerca emotiva. Le immagini di Macrì nella prima fase della sua ricerca ritraggono volti familiari, figure delineate da tinte forti e linee decise che vi conferiscono una ieraticità quasi sacrale. La costruzione del corpo umano è tutt’uno con la natura e accenna continuamente alla relazione tra l’uomo e gli elementi tratti dall’ambiente esterno, assimilando i tratti delle figure a forme arboree. Antonio in questa fase s’immerge fisicamente con i suoi cavalletti nella natura che offre l’ispirazione per i quadri. Negli anni ‘70 percorre una via nuova da lui stesso definita il periodo ”scuro”, in cui le tele sono dominate da ombre a tinte fosche ed i cui soggetti sono trasfigurati da un religioso sguardo contemplativo, grazie al quale l’oggetto rappresentato diventa il medium di ricordi, sensazioni visive che si perdono nella memoria lasciando l’osservatore ad accarezzare con gli occhi un velo di malinconia. Con il procedere della maturazione artistica, Macrì dissolve l’immagine, parcellizza la figura in minuscoli tratti dati da pennellate decise e veloci.
Nasce così l’ultima maniera, un po’ surreale, in cui l’immagine si materializza all’osservatore dopo alcuni attenti minuti di contemplazione. Il faro, il porto, il mare, tutti gli elementi cari alla quotidianità dell’isola, divengono spunti per un ben più profondo viaggio interiore percorso dai colori velati e dalla prevalenza del colore su una linea che ormai dissolta accenna con discrezione ad una realtà appena percepibile.
Ciò che mi colpisce nei suoi quadri è l’uso della luce e l’evanescenza dell’immagine, mi parli della sua tecnica.
Prima disegno sulla tela accennando vagamente i tratti e dopo aver pensato il colore e la luce comincio a buttar giù l’impostazione coloristica. Lavoro però sempre sul fresco, cioè devo finire il quadro nella stessa giornata in cui lo incomincio.
Come mai?
Per ottenere queste sfumature è necessario che il colore sia ancora fresco, se per un motivo qualsiasi dovessi lasciare il quadro e ritornarci dopo due giorni, dovrei buttarlo e non potrei finirlo. Ecco, per esempio, questo quadro l’ho cominciato stamattina e l’ho finito un’ora fa. Per ottenere queste velature, questa luce e queste sfumature, devo dipingere per forza così! Che cos’è per lei dipingere?
Un’esigenza. A me dopo aver dipinto non interessa più nulla, non lo faccio per le mostre o per farmi vedere; inoltre è un esercizio faticoso, perché non posso lavorare per un’ora e poi proseguire dopo due giorni: nella stessa giornata, lavorando otto ore all’impiedi, devo finire il quadro.
Quando si accorge che un quadro è finito?
Bisogna sapersi fermare in tempo! Il mio obiettivo è quello di realizzare un’opera sempre migliore, nella quale riesca ad esprimere ciò che vedo e a conseguire un’armonia totale, ma per conquistare un tale risultato il mio esercizio è costante. Anche per capire quando un quadro è finito, la pratica della pittura ad un certo punto mi suggerisce quando fermarmi, perché sai, ci si potrebbe continuamente soffermare su un particolare e continuare all’infinito, ma questo rischierebbe di rovinare l’armonia del quadro stesso.
Quando ha cominciato a dipingere?
Avevo vent’anni e iniziai con i ritratti dei miei cari, con immagini familiari che contenessero elementi per mantenere vivo il ricordo, ispirandomi un po’ al post-impressionismo.
Oggi i suoi quadri sono lucenti e vibranti di un’intensa pulsione emotiva e soprattutto è scomparsa la figura umana: perché?
Oggi mi dedico alla scomposizione della luce e ne sperimento le possibilità a partire dall’uso del colore, non mi interessa tanto la linea e utilizzo soggetti che suscitano in me un’emozione familiare, essi stessi s’immergono nelle mie velature e diventano richiamo dell’intimo sentire cui do spazio con i colori tenui e la luce diffusa.
I suoi quadri trasfondono una calma ieratica e una certa serenità, una compostezza geometrica…
Nel dipinto cerco quell’armonia e quella pacatezza che mi aiutino a stare più tranquillo e ho imparato ad usare il colore per trasfondere queste sensazioni sulla tela.
Mi ha parlato del periodo parigino e del fatto che spesso va a Parigi.
Parigi m’ispira tragicità, forse anche perché l’ultima volta che ci sono stato fui colto da un malore ed ebbi uno shock, quindi cominciai a dipingere immagini della città in maniera surreale che mi permise di usare i nostri colori ma in un ambientazione estranea, dolorosa, infatti feci un quadro in cui c’è la Tour Eiffel spezzata da una lingua di fumo nero. Normalmente non sono così drammatico, ma quel quadro è la riprova che nei miei dipinti entra molto del mio sentire.