Thursday, May 2, 2024

20/2008

Photo: Marco Albanelli
Text: Raffaella Di Meglio

 

Parlare del pittore Eduard Bargheer (Amburgo 1901-Amburgo 1979) e del suo rapporto con Ischia significa non solo incontrare un artista dalla affascinante personalità, ma anche scoprire un legame speciale che si creò tra la Germania e l’Italia durante e dopo il secondo conflitto mondiale. Un legame motivato da un’odiosa necessità, ma che si rivelò fecondo per entrambe le parti.
Germania, anni Trenta: la dittatura nazista estende il suo opprimente controllo anche sul mondo della cultura, limitando considerevolmente la libertà di espressione dei rappresentanti dell’arte moderna. Chiusura forzata di mostre, rimozione e distruzione di quadri, repressione dei tentativi di secessione, fuga di collezionisti ed estimatori, molti dei quali ebrei: la vita degli artisti tedeschi diventa quasi impossibile.
Italia, anni Trenta: la vigilanza del regime fascista sull’arte non giunge a manifestazioni di insofferenza e di violenza così drastiche; inoltre il governo, per incentivare il turismo, facilita l’ingresso ed il soggiorno degli stranieri attraverso leggi meno rigide rispetto a quelle in vigore negli altri paesi europei. Ischia, anni Trenta: una realtà a sé, una società prevalentemente rurale di contadini, pastori e pescatori, che conducono una vita misera e solitaria, cercando di strappare quanto più possibile alla loro terra, ignari degli stravolgimenti che di lì a vent’anni avrebbero iniziato a trasformarla. Non sorprende che l’Italia, in particolare i paesi costieri e le isole del Sud come Ischia, abbia esercitato una forte attrazione su artisti costretti dall’intolleranza e dalla follia naziste ad espatriare. Soprattutto nel caso dei pittori di paesaggi, sui quali il richiamo del Meridione e del mare fu più intenso, ai vantaggi pratici (facilità di ingresso, possibilità di esporre e quindi di vendere in gallerie italiane) si accompagnavano motivazioni emotive: il clima mite, la luce mediterranea, i colori e le forme del paesaggio, l’atmosfera serena e soprattutto libera, la vitalità e la semplicità degli abitanti offrivano suggestioni nuove, capaci di eccitare nuovamente l’ispirazione, di stimolare nuove visioni, nuove creazioni. Se l’arte moderna tedesca continuò a vivere e a svilupparsi dopo il 1933, lo si deve perciò in parte anche all’Italia. L’esilio nel nostro paese rappresentò infatti per gran parte degli artisti stranieri (pittori, ma anche scrittori, compositori, studiosi) una vera e propria nuova fase del loro percorso artistico, che incise sulle scelte tematiche e tecniche. A loro volta essi influenzarono gli artisti del paese ospitante, per cui si creò uno vivace scambio di esperienze, un arricchimento reciproco.
Eduard Bargheer è uno dei protagonisti di questa particolare vicenda. Figlio di un maestro elementare, fu allievo dell’espressionista Friedrich Ahlers-Hestermann presso la scuola privata d’arte Gerda Koppel; studiò in Italia e a Parigi, dove si avvicinò all’arte astratta. Quando la politica culturale nazista lo indusse a lasciare la Germania, scelse di emigrare in Italia. A Firenze entrò in contatto con Bernard Berenson e con la comunità di artisti ospiti della Pensione Bandini (Kurt Craemer, Heinrich Steiner, Rudolf Levy, Hans Purrmann, Herbert Schlüter). Nel 1942 Bargheer fu reclutato come interprete per la marina da guerra tedesca a La Spezia e nel 1944 tornò a Firenze, dove rimase nascosto fino all’arrivo degli alleati. Tre anni dopo si stabilì a Forio. Bargheer fu tra i primi artisti stranieri a scegliere Ischia come seconda casa. Altri pittori tedeschi, Botho Von Gamp, Werner Gilles, Ernst Bursche, osteggiati anch’essi dal regime, seguirono il suo esempio, trascorrendo lunghi periodi a Ischia negli anni Cinquanta, quando il “ritiro” sull’isola divenne quasi una sorta di tendenza per artisti di diversa provenienza e qualifica. Ischia folgorò Bargheer quando la visitò per la prima volta nel 1935. Forio in particolare, dove soggiornò con alcune interruzioni dal 1939 al 1950, fu da lui vissuta come un’oasi di libertà, un luogo dell’anima, una patria d’adozione. In questo ambiente così diverso da quello che aveva lasciato, l’eccentrico artista, superate le diffidenze iniziali, riuscì ad inserirsi bene e a far accettare la sua esuberante presenza. Una presenza vistosa, rumorosa. La sua inconfondibile risata risuonava fra i tavoli del piccolo bar gestito da Maria Senese, promosso a “Bar Internazionale” e innalzato agli onori della storia locale per essere diventato il ritrovo abituale dei numerosi artisti ed intellettuali ospiti a Forio negli anni del dopoguerra: il poeta inglese Wystan Hugh Auden, lo scrittore americano Truman Capote, la scrittrice austriaca Ingeborg Bachmann, il musicista tedesco Hans Werner Henze, Elsa Morante, Pier Paolo Pasolini, Leonardo Cremonini, solo per citare alcuni dei nomi più celebri. Un omaggio a questo inconsueto cenacolo cultural-mondano e alla sua ancor più insolita animatrice nonché occasionale “musa” ispiratrice dei suoi illustri clienti, l’energica locandiera Maria, è un olio del ’53, uno dei pochi a non avere per soggetto un paesaggio foriano.
Bargheer trascorreva infatti tutte le mattine a rielaborare nel suo studio le immagini di una terra che tanto lo ammaliava. Studiò e si appropriò del paesaggio foriano e dei suoi elementi caratterizzanti, ritraendoli instancabilmente in oli e acquerelli: l’Epomeo, il mare, il porto, il tessuto urbano con i tipici vicoli, le chiese e le torri, i colori di una natura incontaminata, soprattutto la luce.
Osservò e si avvicinò alla cultura popolare locale. Lo testimoniano i ritratti di pescatori, che frequentava assiduamente, per i quali era semplicemente “Don Eduardo”; alcune raffigurazioni di processioni; il mosaico dedicato a S. Vito, patrono di Forio, che ancora oggi decora la facciata della chiesa di S. Maria di Loreto, realizzato sette anni prima della morte, come recita l’iscrizione “A devozione di/ Eduardo Bargheer/ 1972”.
Si appropriò di questa realtà per trasfigurarla ed interpretarla liberamente attraverso il filtro del ricordo, dell’emozione. Nelle opere del periodo foriano gli elementi reali, pur rimanendo riconoscibili, sono tradotti in geometrie colorate. In questa tendenza alla composizione ritmica e geometrica, alla semplificazione delle forme si riflette la formazione dell’artista, imbevuta di espressionismo e di astrattismo, ed emerge la lezione decisiva di Paul Klee e dei suoi acquerelli africani. L’abitato foriano compare in numerose versioni, diverse per condizioni di luce, per momento della giornata, per cromatismi, ma accomunate dall’evocazione delle immagini reali per mezzo di figure geometriche e della forza del colore: le forme delle case ravvicinate, dei camini, delle cupole, delle chiese addossate lungo gli stretti vicoli, del cielo, del mare si accostano e si incastrano simili a tessere di un mosaico astratto. Talvolta Forio assomiglia ad una città dell’Africa (altro paese visitato e amato da Bargheer) inondata di luce calda: le case, le cupole, il Torrione, le palme sono rese attraverso luminose macchie di pittura e limpidi segni grafici. In alcune opere linee e macchie di colore formano immagini simmetriche, caleidoscopiche, che richiamano le prime composizioni astratte di Kandinskij; in altre le superfici si fanno piatte, bidimensionali, profondità e prospettiva sono assenti. La tavolozza spesso gioca sui contrasti tra toni puri, vivaci e luminosi e toni scuri e severi, tra colori caldi e freddi, su cui risaltano intensi segni neri.
È facile intuire come Bargheer abbia portato una ventata di modernità e di vivacità nel chiuso e limitato ambiente artistico locale, regalando nuovi stimoli ad alcuni pittori isolani di talento, che anche grazie a lui si avvicinarono alle avanguardie. La storia di Bargheer e del suo legame con Ischia consente dunque di conoscere e ricordare le vicende che fecero dell’isola, un’isola autentica e ancora inconsapevole del suo fascino, luogo di rifugio, di ispirazione, di ritrovo e di confronto per artisti anche di fama internazionale. È inoltre una storia di libertà, di volontà di resistenza alle brutture della guerra e delle dittature attraverso l’arte e la bellezza.