Tuesday, April 30, 2024

Food- PASQUALE PALAMARO: FRA CREATIVITA’

33/2012

Photo: Enzo Rando
Text: Silvia Buchner

 

Dalla passione per la cucina gourmet della famiglia Carriero, proprietaria della struttura, e dello chef Pasquale Palamaro è nato Indaco, ristorante dall’atmosfera raccolta e sofisticata, ospitato nel complesso dell’Albergo della Regina Isabella, lo storico cinque stelle che da Lacco Ameno è divenuto simbolo di eleganza e raffinatezza nell’accoglienza. Pochi tavoli rotondi con belle poltroncine e un’apparecchiatura ricercata nella sua essenzialità, giocata su un indefinibile punto di viola, l’indaco appunto; e volendo si possono scegliere anche i tavoli all’aperto, che affacciano sul suggestivo paesaggio notturno punteggiato da innumerevoli luci. Essere sull’estremità più settentrionale dell’isola regala atmosfere e tramonti incantevoli, intorno solo rocce, macchia mediterranea e mare: e anche in agosto si dimentica di essere a pochi passi dal centro del paese. Dopo diversi stage presso grandi cuochi – nel suo carnet Antonio Cannavacciuolo, Anthony Genovese, Paolo Teverini, Elvio Milleri – da tre anni Palamaro è a capo dell’Indaco. Proprio la natura dell’isola, i sapori appresi mangiando i piatti della mamma e della nonna o gustando le verdure e la frutta cresciute negli orti ischitani lo guidano negli accostamenti e nella selezione delle materie prime come nella scelta dei modi di cottura, per proporre un’idea di gourmet da cui traspare il legame con la sua terra e, insieme, la grande curiosità con cui si avvicina a tutto ciò che è cibo. “Mi piace capire chi sceglie di mangiare all’Indaco che sensazioni si aspetta di provare”, spiega e quindi offre ai suoi ospiti la scelta tra il menù di tradizione e quello creativo. In omaggio alla storia del Regina Isabella, ha dato spazio ai grandi piatti simbolo della cucina campana, che però interpreta nel solco di una filosofia del mangiare che vuole distinguere i sapori e ricerca l’eccellenza negli ingredienti. Le verdure non devono mai passare per il frigorifero che toglie loro profumi e per questa ragione è stato creato un orto (in un terreno vicinissimo all’albergo e che è visitabile) in cui si coltivano tutti i vegetali di stagione che vengono poi gustati all’Indaco. E se anche “il menù ‘creazione’ consente di capire la mano dello chef, la sua idea di gourmet, mentre nella tradizione si legge soprattutto il territorio”, tuttavia i confini non sono rigidi, le contaminazioni sono numerose e costituiscono lo stile di questo cuoco che si muove con grande agio fra ciò che si porta nel sangue e la continua ricerca che contraddistingue il mondo del gourmet. E scorrendo il menù, che viene rielaborato ad ogni stagione (pur conservando alcuni punti fermi), emergono subito quei piatti che Palamaro sente in questo momento come l’espressione del suo modo di intendere la cucina. Così “La Parmigiana di Coniglio”: è un piatto che faceva già mia nonna – racconta – nel quale la classica parmigiana di melanzane veniva condita con il sugo ricavato dalla cottura del coniglio all’ischitana, un intingolo dal sapore unico, definito da tanti elementi, dalla carne alle spezie utilizzate, alla cottura nella pentola di creta. Tutti elementi che vivono nel piatto di Palamaro, che accompagna la sua parmigiana con una braciola di coniglio, appunto. A metà tra tradizione e creatività “Il Pescato del giorno in cottura sotto sabbia ed acqua termale, e zucchine con il loro fiore”. Lo chef spiega che quando la madre lo conduceva con i tre fratelli a fare il bagno ai Maronti, la strada era lunga e lei preferiva portare gli ingredienti crudi – pollo, patate, uova, condimenti, spezie – sapendo di avere a disposizione un “forno naturale” nella sabbia, resa caldissima dal vapore bollente delle fumarole che fuoriuscivano sulla spiaggia. “Mentre noi facevamo il bagno, lei preparava una sorta di pollo al cartoccio: dopo averlo condito lo avvolgeva in un foglio di alluminio e lo metteva sotto la sabbia bollente. Ho voluto ricreare quel sistema di cottura, ideando una pentola in cui metto uno strato alto circa 15 cm. di sabbia dei Maronti (che cambiamo ogni 2 giorni) e sotto, separata da una griglia forata e da un panno di lino, la nostra acqua termale di Lacco Ameno che raggiunge i 90°”. L’acqua si trasforma in vapore riscaldando la sabbia che cede il calore al cibo mantenendo una temperatura piuttosto bassa, una sorta di cottura in umido. “Preferisco, tuttavia, avvolgere i tranci di pesce in foglie di fico (invece che nell’alluminio), che essendo molto porose, lo isolano sì dalla sabbia ma consentono il passaggio dei vapori che cedono il loro gusto erbaceo e minerale al pesce. In questa stagione, lo accompagno con due mousse realizzate separando la parte esterna – verde – da quella interna – bianca – delle zucchine, per far risaltare il gusto molto diverso che le caratterizza e condendo il pesce solo con una riduzione di ‘scapece’, quindi con aceto, per dare una nota di acidità”. Molto coreografico gli “Aculei di mare in crema di tuorlo d’uovo e lumachine piccanti”, dal menù ‘creazione’, che nasce dalla forte nostalgia dello chef per un piatto che le restrizioni imposte dalla creazione dell’Area Marina Protetta intorno all’isola d’Ischia non gli consentono più di realizzare come vorrebbe. “Preparavo gli spaghetti ai ricci di mare, pescati proprio nella baia davanti all’Indaco. Oggi, che per tutelare la fauna è proibito, avrei dovuto acquistare le uova di ricci altrove, magari in Spagna. Ho preferito rinunciarvi, ma ho ideato questo piatto che è una tartare di ricciola, impanata con “aculei di mare”, che altro non sono che una sfoglia di pasta tagliata a listarelle finissime che avvolgono il pesce simulando gli aculei: friggo la tartare freddissima, dandole uno shock termico, in modo che gli aculei diventano croccantissimi come una tempura, e il cuore di ricciola resta freddo e tenero. Per richiamare la consistenza cremosa tipica del condimento a base di ricci, poi, ho realizzato una crema di tuorlo d’uovo, e l’accompagno con lumache e finocchio di mare. Ispirato da sapori peculiari come quello del prosciutto iberico Pata Negra, Pasquale Palamaro ha ideato “Ravioli di farina di ghiande, con scampi, acqua di pomodori picadilly e mousse di ricotta”. Infatti, è dopo aver provato questo speciale insaccato spagnolo, realizzato con la carne di maiali che vengono allevati liberi di pascolare in foreste di querce, che ha avuto l’idea di lavorare la farina di ghiande: sono, infatti, questi frutti a conferire al prosciutto un sapore speciale, dolcissimo, di grande complessità. Quindi, insieme ai suoi collaboratori, lo chef in autunno raccoglie le ghiande nei querceti ischitani e dopo una serie di procedimenti di pulizia ed essiccazione, le frantumano creando la farina. La pasta fresca che se ne ricava ha un gusto un po’ tostato, di nocciole e viene riempita con scampi, dal sapore grasso e poco persistente, e condita con acqua di pomodoro e mousse di ricotta. Un piatto speciale, delicato, con alle spalle una grande ricerca, perché questo è il modo in cui Pasquale Palamaro concepisce la sua cucina. Da provare, per scoprire come possono armonizzarsi bene creatività e tradizione.

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