Friday, April 19, 2024

32/2012

« 1 di 5 »

Photo: Emanuela Migliaccio
Text: Serena Pacera
Model: Emanuela Lacroix
MakeUp: Nancy Tortora per Aglaia
Hair: Peppe Cirino per Parrucchiere Ciro, Ischia
Assistant: Tommaso Monti
Location: Villa Arbusto

DRESS:EMANUELA LACROIX. Emanuela Colantonio ha un sogno, un dono e una passione davvero speciali. “Da grande” vuole fare la stilista, magari iniziare come freelance per poi aspirare a posti di una certa responsabilità, come quello di direttrice creativa per i marchi più blasonati della moda internazionale. Per adesso studia sodo e coltiva questa sua inclinazione: ha frequentato l’Istituto di Istruzione Superiore Cristofaro Mennella di Ischia con indirizzo Abbigliamento e Moda, e segue un corso di fashion design presso l’ISD (Istituto Superiore di Design) di Napoli. Farsi largo in questo campo è un’impresa ardua, soprattutto al giorno d’oggi, quando tutto sembra essere stato già ideato e creato, e lei ne è ben consapevole, ma non per questo è priva di forti ambizioni o meno decisa a proseguire sulla strada della sua passione. Ci tiene a precisare che se anche non avesse avuto l’opportunità di intraprendere un corso di studi che le permettesse di sviluppare la sua attitudine per il fashion design, avrebbe comunque fatto di tutto per lavorare e vivere di moda, definendo questo suo amore così viscerale come una vera e propria vocazione: “Sono molto credente” mi dice “ Dio mi ha donato l’arte di creare. Chi diventa suora ha una vocazione per Dio, così io ho la mia: la moda. Amen!”. E una tale abnegazione nasce in tenera età, infatti amava disegnare sin da bambina. Chi di noi non ha tentato di inventare modelli di carta per le proprie bambole, con risultati più o meno disastrosi? Invece, lei ha sempre avuto quel “quid” in più che l’ha poi spinta a proseguire nella sua scelta. Quando le ho chiesto di descriversi in poche parole mi ha risposto definendosi “egocentrica, solare, vitale ed ironica” e questi aggettivi si adattano perfettamente anche al carattere dei suoi modelli. Emanuela propone infatti uno stile incisivo ed elegante, in cui spiccano le decise contrapposizioni tra colori come il giallo e il fucsia, mentre per i capi più raffinati adotta un classico total black. Abbondano i tessuti vintage, come la tela jeans consumata e l’ecopelle, che ritroviamo anche in originali accessori confezionati sempre da lei, come l’estroso borsellino in carta e “faux leather”, assemblato riciclando un vecchio libro di musica. Gli stilisti a cui si ispira sono John Galliano, Karl Lagerfeld ed Alexander McQueen, e se potesse scegliere la modella ideale opterebbe per la fashion icon Kim Kardashan o per l’eccentrica rapper statunitense Niki Minaj, entrambe donne dalle curve pronunciate e dal look inconfondibile, in barba alle testimonial diafane e androgine predilette dai grandi stilisti. La sua concezione della moda va ben oltre il semplice “vestirsi bene”: Emanuela ha sempre visto gli abiti come qualcosa capace di esprimere i sentimenti, il modo di essere delle persone, qualcosa capace, spesso, di nascondere aspetti di noi che non vorremmo mostrare agli altri. Di qui l’idea che disegnare vestiti possa costituire un valido aiuto per far sentire chi li indossa più sicuro di sé ed aiutarlo ad avere un rapporto migliore con il proprio corpo. La passione per la moda è legata a doppio filo con quella per la letteratura e per l’arte. Emanuela predilige, infatti, autori come Baudelaire e i poeti maledetti, i futuristi (di cui ammira in particolar modo lo spiccato senso artistico dei manifesti programmatici), ed ama moltissimo il movimento del Dadaismo per il suo concetto di non-sense promosso da una sorta di anti-arte che rifiuta ironicamente l’estetica tradizionale, proprio come lei cerca di fare con i suoi modelli. Gli schizzi veloci su manichini senza testa, né braccia, per dare pieno spazio alla creazione dello stilista, che caratterizzano il sarto francese Christian Lacroix sono in sintonia con la visione che Emanuela ha del suo lavoro di stilista che insegue il tratto pulito e la libertà di non conformarsi agli schemi, al punto che ha scelto come pseudonimo il cognome Lacroix. Per concretizzare i suoi obiettivi in un futuro più vicino, Emanuela sta pensando di lanciare una linea di t-shirts, stampate e dipinte da lei, costituita da una ventina di modelli in tutto: capi che essendo realizzati a mano uno per uno garantiscono, oltre all’originalità, anche la certezza di essere davvero unici. Sebbene si definisca una “fashionista”, ha una posizione ben precisa rispetto alle tendenze odierne: non è necessariamente vero che scoprirsi significhi risultare più sensuali o stare meglio. Ognuno di noi ha un corpo per il quale esistono le giuste lunghezze e le giuste ampiezze, e non ci si deve omologare per forza allo stile – spesso monotono e ripetitivo – proposto dai negozi solamente perché è così che vuole la moda del momento. Ad ogni modo i tre capi che, secondo la sua estetica, non possono assolutamente mancare nell’armadio di una ragazza sono: un paio di jeans sdruciti, una canotta bianca – capi portabilissimi nel quotidiano e adatti a tutte le taglie – e una giacca, di qualsiasi colore, elemento fondamentale ed irrinunciabile quest’ultimo, perché capace di conferire immediatamente eleganza a qualunque tenuta. È difficile al giorno d’oggi trovare giovani che abbiano le idee tanto chiare sul proprio futuro, in un mondo dove sembra regnare l’incertezza e in cui la crisi penalizza l’acquisto di quel che viene definito “il superfluo”, e quindi anche di beni come gli abiti. Ci vuole coraggio, ad intraprendere consapevolmente un cammino tanto ripido e difficoltoso, senza perdere la grinta. Questo coraggio lo ritrovo parlando con Emanuela, lo posso ascoltare quando descrive un progetto: mi fa pensare che al nostro tempo più di tutto serve l’intraprendenza, e ognuno di noi dovrebbe avere l’audacia di lanciarsi all’inseguimento di un sogno. Abito in ferro Quasi una gabbia che racchiude chi lo indossa, in una morsa di freddezza e immobilità. L’abito di Emanuela Lacroix in ferro è dedicato all’Olocausto, per non dimenticare, perché non succeda mai più. E proprio il pesante metallo con cui è strutturato è la sua caratteristica: simbolo del terribile peso che il popolo ebraico ha dovuto sostenere, il peso dell’annientamento. Adornato di filo spinato, in ricordo dei patimenti nei campi di concentramento, e di rose bianche e rosse. La purezza delle prime in contrapposizione con la passione delle altre, entrambe bruciate, emblema di milioni di vite spezzate.