Thursday, May 2, 2024

25/2008

Photo: Famiglia Esposito
Text: Lucia Elena Vuoso

 

Porta il nome della sua ‘mamma’, Cecilia appunto, e sulle pareti ha impresso, sottoforma di fotografie in bianco e nero, piccoli doni di turisti, targhe e premi vinti, il passato e la storia di una donna forte e tenace, determinata e umile, che da sola ha saputo crescere un figlio e mettere in piedi un’attività, che oggi, come 40 anni fa, offre tradizione, prodotti genuini, prezzi economici.
L’esperienza della signora Cecilia Esposito, originaria di Casa Lauro, oggi settantanovenne, e i piccoli segreti e trucchi del mestiere, che tramanda solo ai suoi più fidati collaboratori, sono il frutto del lavoro di tutta una vita. A soli 15 anni, durante la stagione estiva, per aiutare la sua numerosa famiglia composta dai genitori e da nove fratelli andò a lavorare presso il ristorante Di Massa ad Ischia Ponte. Inizialmente faceva le pulizie e successivamente venne trasferita in cucina, a fare i più umili lavori, come pulire il pesce e aprire le cozze. Le mani erano rovinate per la poca praticità (non aveva mai mangiato cibo così raffinato, ma solo prodotti delle campagna), ma il cuore era contento perché imparava e allo stesso tempo portava dei soldi a casa. Il cuore gioiva anche perché nel 1954 il ristorante aveva inaugurato la pizzeria e un bel giovanotto di nome Gennaro era arrivato da Napoli per fare il pizzaiolo. I due si innamorarono e ben presto decisero di aprire un locale nel capoluogo partenopeo. Fu così che Cecilia si trasferì in terraferma e che apprese tanto sulla gestione e sull’amministrazione, come sulla cucina e sulla vendita, e lì nella tavola calda di via Nazionale, imparò anche il linguaggio in codice dei pizzaioli. Frasi come: “a passinè è calò” (è una bella ragazza), “è scacà ‘e sidic” (ha un brutto fondoschiena), oppure “passame ‘o trentanove” (passami il pomodoro) e “piglj ‘o bianchett” (prendi la mozzarella), ancora oggi fanno sorridere la signora Cecilia, che con piacere racconta uno dei tanti piccoli aneddoti. “Un giorno mancò la ragazza che stava al bancone a vendere i crocchè e gli arancini ed io la sostituii. Pur non avendolo mai fatto, a fine giornata incassai ben 40 mila lire in più dell’altra ragazza. Quando la sera, poi, pulii il banco, trovai dei soldi sotto le placche delle pizze: la ragazza, d’accordo col friggitore, teneva per sé una parte dell’incasso e a fine settimana andava a Porta Capuana per dividerlo col suo complice. Da quel giorno fare la banconista diventò il mio lavoro”. E proprio una foto appesa in un angolo, la ritrae mentre incarta le pizze ‘a otto giorni’, sorridente e prosperosa, come la pizzaiola interpretata da Sophia Loren nel film “L’Oro di Napoli”. Il bizzarro ma redditizio commercio delle pizze a credito, per cui si mangiava subito e si pagava dopo otto giorni è un escamotage messo in piedi dai Napoletani nel Dopoguerra per far soldi. “La domenica mattina – ricorda Cecilia – prendevamo ‘u fucon ca tiella ‘ngopp’ (ndr. il bruciatore grande con sopra la padella) e friggevamo ‘e cappiell e preut’, tutte pizze tonde e grandi simili ai cappelli dei parroci, e io le incartavo e scrivevo su un apposito quaderno i nomi dei debitori”. Nel 1962, poi, diede alla luce suo figlio Giovanni che oggi l’aiuta facendo le pizze e gestendo la parte amministrativa. Ben presto però, quel periodo felice finì, poiché morì il padre di Cecilia e la signora rientrò ad Ischia, lavorando un paio d’anni come dipendente di un ristorante e poi aprendone uno suo in via Alfredo De Luca. Lei mise il capitale e Gennaro la manodopera. Quando la signora scoprì, però, che il compagno, che si era dichiarato divorziato, aveva avuto un altro figlio dalla moglie, non esitò a chiudere la sua pizzeria e a tagliare i rapporti col bel pizzaiolo napoletano che tanto le aveva fatto battere il cuore e che l’aveva ingannata. Ma per crescere un figlio c’era bisogno di lavorare e così nel marzo del 1969 aprì il locale ‘Da Cecilia’ che tutti conosciamo. Sarà per la posizione favorevole, sarà per la buona cucina, oggi è tappa obbligatoria per tutti i villeggianti dell’isola, che dopo esserci stati una volta, non esitano a tornare e che addirittura chiedono di organizzare qui il ricevimento per le loro nozze. Di sicuro la preparazione e la disponibilità del personale sono un fiore all’occhiello, come lo sono i bucatini dello chef e le linguine allo scoglio, i piatti tipici, ma sicuramente fa tanto l’amore che la signora Cecilia mette nel preparare le insalate verdi e quelle di mare e la chiacchiera che non manca di scambiare con chi ha appena finito di mangiare, dispensando consigli e mete da visitare. Non a caso la pizzeria ha vinto numerosi concorsi durante tutti questi anni, il più importante dei quali nel 1980 come Miglior Pizzeria d’Italia, premio conferito non da una giuria popolare ma composta da esperti giornalisti e critici culinari e si trova inserita nei registri dell’istituto d’arte e cultura di Firenze come, appunto, esempio di tradizione di un tempo. E non dobbiamo dimenticare che ‘Da Cecilia’ si sono formati alcuni tra camerieri di sala e i pizzaioli più bravi dell’isola come Gaetano, che venivano ospitati dalla signora nella sua casa. E c’era così tanta richiesta di fare pratica che erano stati montati otto letti a castello nel salotto e sei nel ripostiglio!
C’è tutta una vita nel ristorante di via Edgardo Cortese, e tutte le gioie e i dolori di quella vita si ritrovano in ogni pentola, in ogni stoviglia, in ogni tovagliolo e in ogni portata, si ritrovano Da Cecilia.